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L'imbucata

Altra Fiorentina, altra storia. Questo è il livello dei vecchi titolari, ma vanno aiutati

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Ci vuole equilibrio. La Fiorentina non era un'invincibile armata prima e non è tornata quella vista ad inizio stagione.
Matteo Magrini

Equilibrio, please. La Fiorentina non era un'invincibile armata prima e non è improvvisamente tornata quella bruttina, triste e alla disperata ricerca di un'identità vista ad inizio stagione. Molto banalmente, perché nonostante si faccia di tutto per far credere il contrario il calcio resta una roba abbastanza semplice, è una squadra con tanti pregi (soprattutto in alcune individualità), qualche difetto e, nelle ultime partite, probabilmente anche un po' stanca. Niente drammi quindi, anche perché sarebbe semplicemente folle farsi prendere da isterismi e preoccupazioni eccessive dopo una sconfitta (per quanto oggettivamente molto brutta) arrivata in coda a sette vittorie di fila.

Detto questo, è giusto provare ad analizzare i perché di questo ko e, soprattutto, a farsi definitivamente un'idea più chiara su cosa sia, oggi, la Fiorentina. La prima considerazione, e sinceramente non serviva il terzo indizio per averne la prova, è che tra i titolari e le riserve (che poi in pratica sarebbero i titolari di anno scorso ma questo non si può dire sennò si passa per vedove e per altre bestialità tipiche di noi altri fiorentini) c'è un dislivello clamoroso. Molto più evidente, proprio perché in estate è stato finalmente alzato il livello degli acquisti, rispetto a quello di un anno fa.


Seconda considerazione: Palladino, ed è un processo di crescita assolutamente normale e comprensibile, sta facendo un errore che in parte, all'inizio del suo percorso europeo, aveva fatto anche Italiano: il turnover totale. Dieci cambi da una partita all'altra sono troppi e non possono che portare a “spettacoli” come quelli di Nicosia. Perché il livello di organizzazione ne risulta ovviamente compromesso e perché, e secondo me è questo l'aspetto da correggere al più presto, così si sta oggettivamente creando una rosa a compartimenti stagni: una parte gioca il campionato, e l'altra la Conference. Forse, ma lo diciamo senza aver la presunzione di conoscere le dinamiche del gruppo, non è questa la strada migliore per motivare tutti allo stesso modo. Con una specifica, doverosa: sono professionisti e il loro compito è esattamente quello. Rispondere sul campo e dimostrare all'allenatore, con le prestazioni, che si sta sbagliando. Al mister però, il compito di metterli nelle migliori condizioni possibili per farlo.

C'è poi un aspetto tattico, che era già emerso con evidenza sia a Genova che contro il Torino. La Fiorentina, quando deve fare (e non giocare di rimessa) la partita, va in difficoltà. Un po' perché quando deve costruire le mancano idee e, soprattutto, perché a parte qualche eccezione (vedi Adli, che però ora appare in difficoltà) non ha giocatori di qualità e pensiero in mezzo al campo. Per questo, giustamente, Palladino ha rapidamente scelto la strada dell'attesa e contropiede. Un calcio più immediato e verticale che però, per essere messo in pratica, ha bisogno di quella cosa, là davanti, chiamata centravanti. Senza quello si fa dura e, che piaccia o no, si rivedono possessi lunghi, da una parte all'altra del campo, alla ricerca di uno spazio. Non era colpa di chi c'era prima quindi, e non è colpa di chi c'è oggi se quando manca una prima punta degna di questo nome il gioco ne risente.

A chi c'è oggi però, in attesa che a gennaio arrivi un'alternativa quanto meno credibile a Kean, è lecito chiedere di trovare una soluzione un po' più efficace anche in assenza del suo bomber. La missione non è semplice, sia chiaro, ma nemmeno impossibile. Il percorso europeo passa da lì e, magari, da una gestione leggermente diversa della rosa e da risposte più convincenti da parte di chi, in questo momento, non riesce a farsi notare (in positivo) nemmeno contro squadra che faticherebbero nella nostra serie B.

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