Finita parentesi mercato, il mio inutile contributo l’ho dato: meglio nessuno di Rodriguez, se volete riassumere con un titolo. Meglio qualcuno di bravo per crederci, per spiazzare, per cercare una clamorosa qualificazione Champions che sarebbe superiore al valore della Fiorentina ma nei pressi dei Viola in classifica nessuna è così solida, forte, riuscita da escludere le altre. Per me la più forte in zona resta il Napoli. Curiosamente, le due diverse, perfino polari partite contro i campioni d’Italia hanno un meridiano che le congiunge: sono due partite “manifesto” della Fiorentina. A loro modo, raccontano bene la squadra, le danno un contorno superiore e ne definiscono anche il margine inferiore.
La vittoria al Maradona sembrò il compendio di due anni abbondanti di lavoro, la costruzione di una mentalità che si era radicata in un gruppo fino a diventare identità, vero schema tattico che distingue le squadre nel calcio moderno. Quel giorno, la personalità corale elevò le prestazioni individuali e spesso il concetto della Fiorentina è parso superiore al valore singolo dei giocatori: talvolta, fino a creare frustrazione. Quella partita fu talmente piena, limpida, totale - e così assaporata, arrivando prima di una pausa per le partite delle Nazionali - che generò un riflusso e tre sconfitte che sembrarono riallineare la Fiorentina al reale valore. Poi, la classifica è nuovamente tornata straordinaria, complici anche gli inciampi di Roma e Napoli ma è sacrosanto attribuire a quella mentalità (che fa pensare “positivo” la squadra anche dentro alle partite difficili) un piazzamento che proietterebbe la Fiorentina nella prossima Champions.
Ma è altrettanto significativa la sconfitta araba, giocata davanti a novemila persone, con spalti di figuranti e tribune spopolate come ai tempi del Covid, spalti muti di passione e anche andare a giocare in Arabia forse significa essere malati. Questa marchetta spudorata e senz’anima, in mezzo a un deserto di sabbia e di valori - che per mio gusto ci vedeva anche abusivi (una finalista di Coppa Italia, con quattro partite “qualificanti” delle quali tre in casa, non può giocare per un trofeo di “vincitori”) - ha squadernato i limiti della squadra, evidenziati anche se non rivelati, solo perché erano già noti. E allora i viola si sono infranti nello stare in attacco senza riuscire ad attaccare, e fra i vari motivi (compreso la strategia del Napoli) quello che è possibile rimediare è la difficoltà di vincere i duelli tali da rendere efficace l’atteggiamento di squadra.
Cosa già nota, si diceva, ma se la classifica di Campionato fornisce consolazione e restituisce a tutti i protagonisti la meritata gratitudine (o almeno dovrebbe: siamo un popolo incagliato nella critica perenne) la semifinale di Supercoppa invece è un manifesto di limiti superabili solo migliorando l’organico. Non ampliandolo: migliorandolo, sostituendo i titolari di alcuni ruoli. La cornice tattica è chiara, questo aiuta. L’impressione è che sia una squadra sulla quale possa essere virtuoso investire: perché quelli forti si sono divertiti (Gonzalez, Vlahovic, Bonaventura), perché l’aridità di certe statistiche lascia ampi margini per migliorare. L’impressione è che Firenze voglia condividere l’occasione. Questo mercato avrebbe un valore politico - non quella politica fatta di politici opportunisti e di promesse e voti di scambio, e spero con il cuore che la squadra resti fuori da questa propaganda. Un valore politico vero, etimologico, “quell’arte che attiene alla città”, come atto di direzione del senso di appartenenza di una comunità. È un punto decisivo: anche le migliori cose come la grossa classifica, la personalità protagonista di una squadra oltre i propri limiti - una cosa bellissima, per un tifoso - o lo splendido Viola park, dove la cultura del dettaglio e del lavoro emergono e rafforzano l’avventura, ecco, anche questo non viene vissuto come valore condiviso, non crea quell’emozione collettiva che è la magia di questo sport così popolare, così avvitato nelle nostre esistenze. Si è tutti campioni di romanticismo con i soldi degli altri, ma a volte ci sono atti che creano qualcosa di forte, che legano: ecco, questo significa investire.
Perché c’è una necessità estrema di cambiare discorso, o di centrarlo, di trovarne la polpa, di giocare una grande partita contro l’Inter. di schiudere un orizzonte nuovo, di allineare i sogni. Si parla ogni giorno di stadi. Può darsi che la Fiorentina fra otto mesi giochi al Padovani, o in un Franchi dimezzato o chissà dove o in mutandoni in Santa Croce, ma pensate che storia se invece giocasse al Bernabeu, in Coppa dei Campioni, quasi settant’anni dopo quella finale.
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