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L'imbucata

C come competenza, P come programmazione

Magrini
Competenza e programmazione sono due fattori che servono per emergere in ogni campo e anche nel calcio.
Matteo Magrini

Provate a farvi questa domanda: Posch, Kristiansen, Freuler, Aebischer, Orsolini, Ferguson e Zirkzee sarebbero titolari nella Fiorentina o farebbero le riserve di Kayode, Biraghi (o Parisi), Duncan, Mandragora, Bonaventura, Ikonè e Belotti? Oppure, per farla ancora più semplice e ribaltare la prospettiva: quanti giocatori viola, in questo momento, giocherebbero titolari nel Bologna? Le risposte, almeno dal mio (ovviamente discutibile) punto di vista, sono molto semplici e portano ad un’amara (ma onesta) considerazione: i rossoblu, a livello individuale, sono più forti. E non abbiamo considerato Calafiori (assente mercoledì sera ma per rendimento tra i migliori difensori del campionato), Saelemaekers e le varie alternative che Thiago Motta può pescare in panchina: Ndoye, Odgaard, Lucumi, Karlsson ai quali, in queste ore, si aggiungerà anche il giovane Castro, talento argentino seguito anche da Burdisso.

E così veniamo al grande tema. Ad una parola che dalle parti del Viola Park non sembra andare tanto di moda: competenza. E pazienza se qualcuno si sentirà offeso. Perché hai voglia a descriverti come uno che “fa calcio da 30 anni”. Chiacchiere, spazzate via dai fatti: Kristiansen (1 milioni di prestito), Saelemaekers (550mila di prestito), Calafiori (4 milioni), Posch (5 milioni), Ndoye (9 milioni), Zirkzee (8,5 milioni), Aebischer (3 milioni), Ferguson (2 milioni). Vogliamo fare il paragone con i vari Ikonè (15 milioni), Duncan (15 milioni), Mandragora (8 milioni), Kouame (circa 12 milioni) e compagnia? Sinceramente, non credo serva aggiungere altro. E non è (solo) una questione di forza nell’immediato. E’ anche, e per certi versi soprattutto, questione di programmazione e di costruzione di un futuro. Perché il Bologna adesso si ritrova in casa un patrimonio tecnico/economico enorme e (proprio perché a far le scelte c’è un direttore sportivo competente) vendendo qualcuno di quei gioielli potrà costruire una squadra comunque competitiva. Basta pensare che a gennaio, nonostante non ne avessi bisogno per questa stagione, ha comprato Castro, attaccante argentino che dal prossimo anno prenderà il posto di Zirkzee che, male che vada, tornerà al Bayern per una quarantina di milioni. Vale per il Bologna, così come per l’Atalanta. Eppure stiamo parlando di città più piccole di Firenze, di bacini d’utenza inferiori, e di società che non hanno stadi di proprietà. Incredibile, no? Si può far calcio ad alti livelli lo stesso.


E la Fiorentina? Cosa ha costruito, in questi anni? Cos’ha, in casa, per poter pensare di far mercato grazie alle cessioni? Nico Gonzalez, Kayode (ma ci auguriamo che resti ancora per un po’), Beltran (ma deve ancora dimostrare parecchio) e poi? Poco. Quasi niente. Un bel problema per una società che (giustamente) lamenta le differenze di fatturato rispetto alle big e che, per poter competere, non avrebbe altre strade se non quella (appunto) del “trading” di giocatori. Pescare nel proprio settore giovanile (e da questo punto di vista il lavoro in questi anni è stato apprezzabile) e trovare calciatori giovani, muoversi in anticipo, pagarli il giusto e poi valorizzarli. E invece, da queste parti, si naviga spesso a vista. Operazioni senza prospettiva (Jovic un anno fa, Arthur, Mina…), improvvisazione (vogliamo tornare su come è stato condotto il mercato di gennaio?), un pizzico di presunzione.

Già, la presunzione. Ricordate, no? “Soltanto Inter e Juve sono meglio di noi” sosteneva e probabilmente sostiene ancora qualche dirigente. Dal nostro punto di vista invece, oltre a quelle due e alle altre (Milan, Napoli, Lazio, Roma, Atalanta) anche il Bologna ha una qualità diffusa superiore alla Fiorentina. Si torna sempre lì, quindi. Alla speranza che l’allenatore ed il suo staff riescano per l’ennesima volta a portare la squadra oltre i propri limiti. Il guaio è che un motore, se spinto costantemente ad andare fuorigiri, alla fine rischia di fondere ed è quello che sta succedendo da un paio di mesi a questa parte. Infortuni, acciacchi, difficoltà nel tenere alta l’attenzione. Tutti sintomi di un gruppo che sta pagando gli enormi sforzi fatti fino ad oggi e che, nel momento più importante, non è stato supportato a dovere.

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