di Massimo Sandrelli
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Il miracolo Marocco e la magia del calcio
Tutti parlano del miracolo Marocco. E la gran parte degli osservatori lo fanno con entusiasmo. Certo la prima squadra africana che approda alla semifinali del mondiale non è un fatto banale. Ma l’errore sarebbe quello di pensare a chissà quale rivoluzione genetica. Scorrendo la lista dei giocatori nordafricani ci si accorge che almeno il 70 per cento di loro sono nati altrove e giocano praticamente tutti nei migliori campionati europei. Sono il prodotto di una globalizzazione etnica storicamente recente. La vera novità sta nell’organizzazione: la federazione marocchina ha fatto le cose per bene, ha affidato la gestione ha un ottimo ct che sa tenere bene il gruppo. Da un punto di vista tecnico, il Marocco gioca uno splendido catenaccio che farebbe felice Gianni Brera. Difesa bassa, con Amrabat finalmente impiegato nel suo ruolo di mediano centrale, centrocampo coperto e attacchi sporadici. Tutti loro, però, sanno stare bene in campo e mettono la loro esperienza accumulata nel tempo a disposizione del collettivo. Grande tensione agonistica e grande determinazione, Il Marocco è questo e può far di tutto. Chiaro che nel derby con i francesi (i francesi da ex colonialisti quella globalizzazione l’avevano sfruttata per primi) conterà molto il talento e loro ne hanno di meno dei blues.
Ma Il calcio soprattutto è business. La dimostrazione più eloquente sono i mondiali in Qatar. L’emirato dell’Asia occidentale che conta poco più di due milioni e mezzo di persone per un’estensione che è più o meno pari al 30% dell’Italia, vanta il quarto Pil pro capite al mondo. Grande produttore di petrolio e gas naturale, è anche il produttore record di anidride carbonica in proporzione agli abitanti. Nel 2010 ottiene l’assegnazione dei mondiali di calcio sbaragliando il campo anche contro gli USA, pur essendo il 141 esimo paese nel ranking Fifa e non disponendo ne’ di tradizione ne’ di un movimento adeguato. Nei congressi dove si assegnano mondiali e olimpiadi spesso le procedure sono disinvolte, per così dire, corrono molti soldi. In quegli anni sia l’ex plenipotenziario Blatter che Platini finiranno per essere squalificati per presunte corruzioni.
Il potente emirato non maschera le proprie ambizioni e investe senza confini su tutto: dalle scuole specializzate, allo scouting intensivo, alla programmazione di stadi avveniristici, parte dei quali finiti i mondiali saranno smontati, alla comunicazione grazie al proprio network Al Jazeera. Il campionato del mondo di calcio è una ribalta che serve all’immagine. Ne’ la mancanza di una squadra poteva essere un problema e nel tempo si sono “abbreviate” le procedure per i passaporti per reclutare una decina di “oriundi” e la panchina viene affidata nel 2018 allo spagnolo, Felix Sanchez Bas. I risultati tecnici, però, non si possono inventare così l’avventura è finita velocemente. Ma c’è chi ha fatto di più. Il Canada era 36 anni che non partecipava alla fase finale di un mondiale. Così i nordamericani, grazie a investitori privati, hanno arricchito la rosa con una decina di “oriundi” e finalmente hanno rotto il digiuno, anche se, come per il Qatar, il loro cammino è stato modesto. Conta il talento, dicevamo, il vero segreto è avere chi, in un qualunque momento della partita, può cambiare tutto con una scintilla. Questa è la magia del calcio. Il resto son chiacchiere…
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