Il 50° allenatore della Fiorentina, Vincenzo Montella, con i suoi 38 anni ben portati (che lo scorso anno gli avrebbero consentito di fare il centravanti viola titolare), un carattere dicono di acciaio e un look che rimanda a Tom Cruise più che a Nereo Rocco, appartiene a quella categoria di allenatori giovani che sembrano usciti da uno spot della Figc. In fondo, non una novità per Firenze. Nonostante sembrasse il fratello vecchio di Luis De Funes, quando arrivò a Firenze Carletto Mazzone aveva solo 38 anni e un’esperienza labile come un film di Michele Placido. Il suo credo calcistico era semplice: «Se si muove, dagli un calcio, se invece non si muove, prendilo a calci finché non lo fa». Fedele a ciò, lui lo mise in pratica con la truppa, anche se con Steno Gola, che aveva la mobilità di un pontile marino, fallì. Anche Carosi era dello stesso normotipo del «Sor Magara». Sembrava più vecchio di Gilberto Govi invece aveva appena spento 40 candeline. Nonostante due sesti posti discreti, non legò mai con la curva. La scritta rimata «Se Carosi se ne va / lo scudetto viola sarà» è rimasta per anni su un muro dello stadio, a far manifesto della velleità e dell’illusorietà del destino viola.
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Voglia di volare
Il 50° allenatore della Fiorentina, Vincenzo Montella, con i suoi 38 anni ben portati (che lo scorso anno gli avrebbero consentito di fare il centravanti viola titolare), un carattere dicono …
Anche il suo successore Picchio De Sisti quando si sedette per la prima volta in panca aveva 38 anni. A farlo amare dapprima ci pensò il suo passato da architetto del gioco gigliato, poi furono i risultati a scolpirlo per sempre nella memoria. «Meglio secondi che ladri» é lo slogan che racconta meglio di ogni altro la sua stagione. Anche l’improponibile Perciò Mihajlovic, a cui va il copyright per la Fiorentina più brutta del ventennio, aveva 41 anni quando da Catania si trasferì a Firenze, ma l’uomo che forse più ricorda il presente è Roberto Mancini. Anche lui quando arrivò qui a 37anni sembrò più un ex calciatore che un neo allenatore. In quell’anno solare sciagurato cambiò per 34 volte la formazione di partenza in 34 partite, dando l’impressione di essere più attento alla larghezza del collo delle camicie che non a forgiare una squadra definita. Il seguito, per fortuna sua e rammarico nostro, ha dimostrato altrimenti. Adesso è il turno di Vincenzino Montella, detto l’Aeroplanino. Arriva in una città stufa dei troppi atterraggi d’emergenza, che chiede solo di decollare verso nuovi entusiasmi. Caro Aeroplanino, che iddio del calcio la mandi buona e senza troppo vento.
Stefano Cecchi - La Nazione
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