I giornali lo danno a Bagno a Ripoli e se, a differenza di altri avvistamenti (da Thuram a Stanic passando per Insua ed Eboué), alla fine arriverà a Firenze, sarà buona cosa per la causa viola. Emiliano Viviano, con i suoi 195 centimetri a sfiorare il cielo, è uno di quei portieri-condominio che fanno sembrare la porta di calcio una buca da golf agli occhi dell’attaccante avversario. Un numero uno-saracinesca, il cui approdo al Franchi starebbe nella genetica delle delle cose. Firenze, infatti, ne ha applauditi molti di portieri prodigio. Da Albertosi, con le sue acrobazie da trapezista, a Giovanni Galli, elegante nelle parate come una collezione delle sorelle Fontana; da Francesco Toldo, che a volte (come con l’Arsenal) sembrava costruire muri di vetro davanti alla porta, a Leonardo Costagliola, detto «gatto magico» non per le fusa ma per i balzi; da Sebastien Frey, esplosivo come una palla di cannone, a forse il più forte di tutti, quel Giuliano Sarti che, come un oracolo di Delfi versione calcistica, sapeva leggere il futuro del pallone, facendosi trovare sempre piazzato sulla botta del centravanti. L’arrivo di Viviano potrebbe garantire continuità a questa teoria di campioni con i guanti. Ma il vero valore aggiunto sarebbe un altro.
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Viviano, ovvero l’antimontolivismo
L’articolo di Stefano Cecchi su La Nazione
Emiliano, infatti, fin da piccolo è stato contagiato da quel virus che è il tifare Fiorentina. Non solo ha chiamato per questo Viola la figlia, ma quand’era già portiere professionista nel Brescia, non ha rinunciato all’abbonamento al Franchi: al sabato il dovere del campionato di B, la domenica il piacere. Viviano, insomma, rappresenta nel calcio l’altra faccia del pianeta Montolivo. Con il cuore che la spunta sulla ragione e il senso d’identità a prevalere sulle percentuali di mille procuratori. Un sentimento vincente, per chi sa viverlo. Perché, come insegnano Peter Pan, Alice e Amelie (quella del fantastico mondo) per sognare non servono i milioni ma un’idea di appartenenza e un cuore aperto alle passioni. Ecco perché Viviano in viola rappresenterebbe una ripartenza verso una Fiorentina dei fiorentini, più legata al sentimento e meno all’interesse. Che poi è il senso profondo e meraviglioso di questa malattia chiamata calcio, che solo i Raiola e i Blatter vorrebbero per sempre solo business.
Stefano Cecchi - La Nazione
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