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Tre anni con Montella e gli uomini della Fiorentina olè

Il finale di questa storia doveva essere diverso. L’articolo di Ernesto Poesio

Redazione VN

Nemmeno il tempo per una battuta. Stavolta Vincenzo Montella è rimasto senza parole. L’annuncio della Fiorentina lo ha lasciato basito. Di stucco. «Pensavo fosse amore e invece era un calesse» direbbe Massimo Troisi, tanto per restare dalle sue parti.

Chissà se a Vincenzino da Castello di Cisterna è venuto in mente. Per ora comunque ha scelto il silenzio dopo tante, troppe, parole. Parole che hanno finito per confondere i pensieri e annebbiare le decisioni. La sua versione arriverà magari tra un po’ di tempo sempre che, «passata ‘a nuttata», l’Aeroplanino abbia ancora voglia di spiegare e di spiegarsi a una città che nonostante tutto, nel momento più difficile, ha finito per abbandonarlo (anche se nelle ultime ore è nato l’hashtag #iostoconmontella, troppo tardi ormai). «E poi dicono sia io il permaloso...», ha ribadito nelle ultime ore Vincenzo agli amici, consapevole che quel non aver mai davvero strizzato l’occhio al lato più vanitoso di Firenze prima o poi avrebbe finito per costargli caro. Ma non si può apparire per ciò che non si è. E recitare non è decisamente il suo punto forte nonostante nello spot della Volkswagen, qualche tempo fa, avesse messo in mostra un certo talento. Quando però si fa sul serio a Vincenzo non piacciono le mezze misure. Un po’ come il suo calcio, che puoi scegliere se amare o non sopportare, che può farti vincere (soprattutto) o perdere con chiunque, ma che sicuramente vive per il gol, «per farne sempre uno più degli avversari».

Per questo tre estati fa è nata la Fiorentina Olé. L’abbiamo chiamata così questa squadra dall’indole latina, ambiziosa, un po’ vanesia e a tratti piaciona, troppo distratta nella fase difensiva ma divertente e piena di qualità, che come un torero (anzi «toreador» come ci ha insegnato Joaquin) amava giocare con l’avversario prima di colpire e mandarlo al tappeto. Tre anni intensi, con numeri da favola che parlano da soli: 153 partite di cui 81 vinte, 32 pareggiate e 40 perse. E poi ancora: 199 punti in campionato con una media di 1,75 a partita (solo il mitico Fulvio Bernardini, allenatore del primo scudetto ha fatto meglio), 258 gol segnati e soprattutto quelle 38 vittorie fuori casa su 74 partite a una percentuale del 51% che ha regalato all’Aeroplanino il primo posto assoluto di sempre nella storia della Fiorentina. Dati, statistiche, saranno pure freddi ma alla fine sono alla base di ogni sport. Con qualche eccezione però. Come per Montella che nonostante tutto al termine della sua avventura fiorentina in bacheca non ha messo quella che sarebbe stata una meritata coppa, ma un freddo esonero. Il primo della sua giovane carriera.

Che paradosso. Soprattutto se si prova a guardare indietro, ai momenti più esaltanti della sua Fiorentina. Alla vittoria con la Juventus per esempio, un 4-2 che resterà per sempre nella storia viola. «Il calcio è uno sport meraviglioso», commentò Vincenzo alla fine. Ma anche crudele. Lo sa bene l’Inter ridicolizzata al Franchi qualche mese prima. Altri quattro gol, altra esaltazione collettiva. Ne nasce un coro che farà storia: «Il pallone è quello giallo». Da tempo non era così divertente tifare viola. È il trionfo della Fiorentina Olé, della vecchia e cara melina che diventa arma micidiale tra i piedi di Borja e compagni. Perché il calcio di Montella in fondo è così, è una costruzione continua, una ricerca a volte perfino esagerata del palleggio e del gioco di squadra. Dove i solisti si esaltano. Come Cuadrado che sembra imprendibile, come Pepito forse l’unico attaccante in grado di capire davvero come far esplodere il potenziale di questa Fiorentina. E poi Pizarro, Borja Valero, Gonzalo e più recentemente Joaquin o Salah. Tutti alfieri dell’Aeroplanino, tutti coinvolti in quella che appare prima di tutto come una filosofia.

Già perché quello di Montella è un calcio diverso, moderno, leggero. Dove non esistono ritiri punitivi, dove alla partita si arriva magari dopo aver dormito a casa, dove il giocatore non è un «soldatino» ma conosce quali siano le proprie responsabilità. Certo, mica è un villaggio vacanze. Lo sanno bene i dirigenti e gli «accompagnatori» che a Londra (altro momento da segnare sul calendario) si presero un bel rimbrotto per un’eccessiva euforia pre partita. «E che siamo a una festa?», urlò l’Aeroplanino e poco male se a bordo campo c’era tutto lo stato maggiore al gran completo. Divertimento e sorrisi, ma sempre nelle regole insomma. Anche questo è stata la Fiorentina Olé, come uno spartito in cui tutti aggiungevano qualcosa. Improvvisando magari, ma sempre tenendo il gruppo al centro di tutto.

Lo spogliatoio. Che Montella ha sempre e comunque difeso come avrebbe fatto Mourinho («prendetevela con me») fino a scontrarsi con la tifoseria dopo l’eliminazione contro il Siviglia: «Non accetto che questa squadra venga derisa, io per questi giocatori vado contro una città intera». Chissà se oggi si sta pentendo di averlo detto. Difficile. Perché l’Aeroplanino è così: pane pane vino al vino. Come quando di fronte a un manichino portato in sala stampa per la presentazione di una maglia celebrativa, non ci pensò due volte: «Ecco il giocatore che mi serviva, speriamo che almeno lui non si rompa. O l’abbiamo preso già rotto?». E giù una risata. Amara. Come questa storia. Che avrebbe meritato un finale diverso.

Ernesto Poesio - Corriere Fiorentino