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Tra giovani fenomeni e vecchi stranieri, rischiano i primi

Un classico triangolare estivo, di fantasia, ma magari meno inutile di tanti altri: gli under 21 azzurri di Scuffet e Berardi contro gli under 21 stranieri e il loro super …

Redazione VN

Un classico triangolare estivo, di fantasia, ma magari meno inutile di tanti altri: gli under 21 azzurri di Scuffet e Berardi contro gli under 21 stranieri e il loro super tridente (Keita-Icardi-Iturbe) e gli over 32 stranieri, con 587 presenze in Champions come medaglie sul petto. Ovvero, una prima fotografia dei giovani talenti in rampa di lancio, quelli in cerca di conferme importanti e delle vecchie glorie, più o meno tirate a lucido. Tre squadre molto diverse, tre mondi a parte che nella realtà quotidiana del nostro campionato chiaramente si incrociano tra loro, ma che presi singolarmente danno meglio l’idea di un movimento in difficoltà, con un livello medio di qualità su cui si può discutere. Ma anche con qualche segnale legittimo di speranza.

I movimenti di mercato conclusi finora (54% di stranieri su 190 giocatori) confermano in pieno la tendenza del campionato, in linea con l’allarme lanciato a marzo dal c.t. Prandelli sui «38% di giocatori eleggibili per la nazionale». Gli stranieri più importanti arrivati finora confermano un’altra tendenza cronica, senza contare che il sogno di avere Eto’o o il capitano del Messico Rafa Marquez (35 anni) è ancora vivo: nell’ultimo torneo il 29% dei giocatori schierati aveva oltre 30 anni, il doppio della Bundesliga. Non a caso il bomber della squadra degli ultratrentenni è il laziale Klose, 36 anni, fresco campione del mondo e capocannoniere di sempre ai Mondiali (16 gol). Per rinforzare un gruppo che ha perso il blocco interista Milito, Cambiasso, Zanetti, Samuel sono arrivati difensori di spessore come Vidic, autore del primo gol interista contro la Roma nella sfida di sabato, Alex (dal Psg al Milan), ma anche esterni come Cole (dal Chelsea alla Roma) o Evra (dal Man Utd alla Juve).

«Quando arrivano giocatori come Vidic o Alex vanno benissimo perché hanno tanta esperienza — osserva Filippo Galli, responsabile del settore giovanile del Milan —. Del resto nessuno ha l’interesse di far venire qui giocatori per farli svernare. Ma per i ragazzi italiani resta il grande problema dello sbocco dal settore giovanile. Mancano le seconde squadre o almeno la possibilità di controllare altri club che possano giocare in Lega Pro».

I giovani interessanti anche tra gli italiani non mancano, anche se i pari quota stranieri hanno già molti più chilometri nel motore. Proprio Prandelli il 7 marzo aveva convocato 31 «azzurrabili» in uno stage a Coverciano, con i vari Leali, Scuffet, Murru, Romagnoli, Cerri, Benassi e Rugani. Tra questi debutta in A il portiere Leali col Cesena, ma per conto della Juve: Scuffet ha 3 anni in meno e si è preso il posto da titolare dell’Udinese. I vari Bardi, Perin, Colombi, Sepe, hanno pochi anni in più e testimoniano una certa vivacità del ruolo: per trovare un numero uno straniero Under 21 bisogna fare ricorso all’albanese della Lazio, Strakosha, che verrà girato in prestito.

Il ruolo più delicato sembra quello di difensore centrale. Rugani, pure lui già della Juve ma titolare nell’Empoli, è la grande speranza al debutto in A. Romagnoli della Roma è sei mesi più giovane ma è più esperto: «Se rimarrà coi giallorossi però farà fatica a trovare spazio — sottolinea Galli, ex difensore centrale del Milan — e dovrebbe avere la possibilità di fare esperienza. Sono rarissimi i casi di Scuffet e De Sciglio, che hanno fatto un percorso dalle giovanili alla prima squadra». Tra questi c’è anche Berardi, uomo di punta della meglio gioventù azzurra, in attesa di vedere Bernardeschi della Fiorentina, Belotti del Palermo, esploso in B con 10 gol e magari il talento classe ’96 di Alberto Cerri, possente attaccante centrale del Parma: «Berardi ha vissuto un anno straordinario — ricorda Galli — poi si è fermato. Al Sassuolo ha la possibilità di confermarsi e di mettersi in mostra. Può anche essere l’anno di Cristante nel Milan. Anche perché Inzaghi i giovani li conosce bene». E s bene, da allenatore al debutto, che la fiducia è la prima cosa che conta.

CORRIERE DELLA SERA