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Tra Cuadrado e Bob Marley

Era il 1976 e si giocava Irlanda del Nord-Olanda. Al 5’ minuto George Best prende palla, salta un uomo ne salta un altro, ma non punta la porta, punta il centro del …

Redazione VN

Era il 1976 e si giocava Irlanda del Nord-Olanda. Al 5’ minuto George Best prende palla, salta un uomo ne salta un altro, ma non punta la porta, punta il centro del campo, punta Cruyff. Gli arriva davanti, gli fa una finta di corpo quindi un tunnel, poi calcia via il pallone, si gira e gli dice: «Tu sei il più forte di tutti ma solo perché io non ho tempo». La storia gira da qualche tempo su Facebook e ha un solo difetto a creparne la meraviglia. Non è vera. Eppure, chi tifa viola sa bene che anche oggi ci sarebbe un giocatore capace di ciò.

Si, questo giocatore nero come una marmitta e lucido come un davanzale nei giorni di pioggia, si chiama Juan Guillermo Cuadrado, non viene dall’Irlanda ma dalla Colombia, e quando ha il pallone fra i piedi i suoi occhi zampillano una gioia bambina che colora lo stadio. Una forza della natura cresciuta a pane e doppie finte, una turbolenza benefica. Nella Fiorentina ortodossa del tiki taka, lui rappresenta l’eresia, il fattore scombinante che manda gambe all’aria difensori e progetti catenacciari degli avversari.

Certo, a prima vista lui e Best sembrano distantissimi. Del campione irlandese autodistruttosi tutti ricordano la frase «ho speso molti soldi in donne, alcool e auto sportive, il resto l’ho sperperato», mentre di Cuadrado è nota la sua pulizia fuori dal campo e i pomeriggi di sorrisi in casa con mamma e sorella. Nell’immaginario, poi, Cuadrado lo pensi caraibico perennemente in mare a surfare sulle onde, mentre Best rivelò di non essere mai stato in spiaggia «perché per arrivarci dovevo passare davanti a un bar e mi sono sempre fermato prima di raggiungere l’acqua». Eppure, quando scendono in campo entrambi raccontano qualcosa di simile. Rammentano ai distratti che il calcio è ancora sport di popolo e non business di plusvalenze e ingaggi milionari. Raccontano che il dribbling non è un gesto tecnico ma una religione, provando ogni volta a evangelizzare i mediani e i sacchiani poveri di spirito. Infine, insegnano entrambi della gioia fresca che può dare un tunnel inutile, l’emozione che accende una finta superflua, un dribbling di troppo. Due musicisti dei prati verdi.

Se Cuadrado è oggi un Bob Marley sotto la Fiesole, Best lo chiamavano il quinto Beatles (anche se gira la battuta che lui una come Yoko Ono non l’avrebbe neanche guardata). Due lucidatori di utopie, due cantautori della fantasia. Per questo, se stasera in campo invece di andarsene verso la porta, Cuadrado puntasse un Klose o un Ledesma e lo scherzasse con un tunnel, lanciando poi la palla oltre la torre di Maratona, non sarebbe una follia ma un gesto di ribellione al football di plastica. A dire ai Braschi e ai Nicchi che il Calcio per i puri è Poesia e non esercizio di Potere. Che è bellezza e non prepotenza. E’ sogno e non tracotanza. Ma forse non lo capirebbero, affibbiandogli 4 giornate di squalifica per irriverenza. Che il Potere può fare di tutto ma non sa mica sorridere.

Stefano Cecchi - La Nazione