Il Corriere dello Sport Stadio riporta un racconto dell'allenatore della Fiorentina Vincenzo Montella scritto per la Onlus Save the Children. Ecco un passaggio della composizione del tecnico.
stampa
Stadio: Montella scrive per Save the Children
Il tecnico della Fiorentina veste i panni dello scrittore per la Onlus
"Ettore a una prima occhiata poteva sembrare un bambino come tutti gli altri: magro, minuto, portava magliette a righe e aveva le scarpe quasi sempre slacciate. Era timido e ci metteva un po’ per rispondere alle domande che gli facevano, come se dovesse cercare dentro di sé. Nonostante fosse così riflessivo, o forse proprio per questo, Ettore otteneva risultati eccellenti a scuola, praticamente in tutte le materie. La cosa non stupiva granché i suoi insegnanti perché, ora dovete saperlo, Ettore era figlio di un famosissimo scrittore (cosa che gli complicava non poco la vita): il minimo che ci si potesse aspettare da lui era che fosse un allievo esemplare. E lui lo era. «Boralevi come lo scrittore?», gli dicevano quando pronunciava il suo nome e cognome per presentarsi o in altre simili occasioni. «E’ mio padre» rispondeva piano, sconsolatamente, e da lì cominciavano un coro di «Nooooo, davvero? Ma dai! Ooh» e chi più ne ha più ne metta. (...)
C’era solo una cosa che lo faceva stare bene: giocare a calcio con la sua squadra. Ci andava in bicicletta ogni giovedì pomeriggio, perché così aveva stabilito la madre (una donna aristocratica perlopiù assente), la quale aveva una scala di priorità molto diversa da quella del figlio (ad esempio per lui il calcio era la prima cosa, per lei l’ultima). Quando Ettore arrivava al campetto con la sua sacca sulle spalle (era più grande di lui, ma facevano un bel vedere lo stesso) e in spogliatoio si metteva la maglietta (aveva scelto quella con il numero nove), i calzoncini, i calzettoni e le sue scarpe coi tacchetti, sentiva di essere al posto giusto e gli pareva che tutto, finalmente, andasse bene.
Lì non era figlio di nessuno, tutti lo chiamavano Bora, non solo per abbreviare il suo cognome, ma anche perché correva veloce come il vento, ed era imprendibile in volata. Il campo metteva tutti sullo stesso piano, contava solo chi eri e come sapevi giocare. (...)
Diversamente da suo padre, non gli piaceva tanto raccontare il mondo: preferiva affrontarlo, anche se questo significava spesso rischiare di fallire. Quello che ancora ignorava (ma che avrebbe capito più tardi, neanche molto più in là) è che ognuno deve trovare la sua forma di presenza, e che anche lui, come suo padre, aveva trovato la sua".
Vincenzo Montella
© RIPRODUZIONE RISERVATA