stampa

Scopriamo il finale del romanzo

Pescara è un buon posto per terminare il romanzo di un campionato. Il mare, le tracce di D’Annunzio, Flaiano e Zeman (a loro modo tre trasgressivi), gli arrosticini. E poi, …

Redazione VN

Pescara è un buon posto per terminare il romanzo di un campionato. Il mare, le tracce di D’Annunzio, Flaiano e Zeman (a loro modo tre trasgressivi), gli arrosticini. E poi, che romanzo! Apri le pagine a ritroso e ti accorgi che son piene di meraviglie. I mille tunnel di Borja Valero, ad esempio, che l’avresti detto il cugino di Masitto e invece s’è dimostrato l’erede del Brunelleschi, un centrocampista-architetto a disegnare cattedrali di calcio come pochi.

E poi le mille fughe lungo il canyon di destra di Beep Beep Cuadrado, davanti a cui i terzini son sembrati tutti maldestri Vilcoyote, costruttori di trappole dov’eran destinati a finire loro stessi.

E poi i mille anticipi di Gonzalo Rodriguez, «libero« con un tom tom sotto pelle per non farsi mai sorprendere parcheggiato fuori dall’azione avversaria. 

E poi i mille dribbling di Adem Liaijc, il ragazzo della via Paal che un giorno un 50enne in crisi di nervi tentò di prendere a pugni e lui, per rifarsi, ha poi preso a pugni con la fantasia intere difese avversarie, incapaci di afferrarlo come Tom Hanks con Di Caprio in «Prova a prendermi».

E poi, ancora, i gol inaspettati di Lucatoni, centravanti vecchio di zecca che sembrava un reduce delle aree di rigore e invece si è rivelato fresco come una matricola, i mille cross col goniometro di Manuel Pasqual, capitano operaio di una Fiorentina signorile per capacità di gioco. Un gran bel romanzo, appunto.

Però, a chi scrive, alcune pagine minori scaldano particolarmente il cuore. L’ironia del coro «il pallone è quello giallo», ad esempio, cantato dalla curva agli smarriti interisti, manifesto di come la grande tradizione ironica della città, che parte dal Boccaccio per arrivare a Pieraccioni, abbia saputo contagiare anche lo stadio. 

O come quando il Pek (regista neorealista alla Rossellini, capace di raccontare la bellezza del calcio con la potenza naturale delle sue giocate) si presentò sul dischetto col Siena e dopo il gol alzò gli occhi al cielo a ritrovare quelli della sorella appena scomparsa. Un tuffo al cuore. Lo stesso provato quando, dal catino della Fiesole, spuntò una striscione ad accarezzare idealmente Sofia, la bambina farfalla destinata a volar via presto, e i suoi genitori eroi. Piccoli, grandi episodi a dire come il calcio sappia essere emozione ben oltre i confini di un rettangolo di gioco.

Così, da un punto di vista sportivo, forse la pagina più bella di questo romanzo è stata scritta la sera che tutto lo stadio si è alzato in piedi ad applaudire la Fiorentina appena sconfitta dalla Roma, in una gara ingiusta come il Tfr di un politico. La dimostrazione plastica che il tifo migliore nasce da un senso forte di appartenenza, a una terra, un’idea, un colore, prescindendo da quanto affollata possa essere la bacheca dei trofei. A chi scrive pare motivo comunque di orgoglio.

Massimo Cecchi - La Nazione