E ora come si fa? La domanda è questa. Tutte le altre non hanno molto senso. Sei gol subìti in due partite. A Napoli facendo zero tiri in porta. Coppa Italia addio. E praticamente addio anche zona Champions. A una lunga sequenza di aggettivi superlativi è seguito un silenzio di gelo segnato da accenni di catastrofismo. Cuori dissociati e perplessi. Come, d’altra parte, è dissociata questa squadra capace di imprese memorabili e di cadute inaspettate nei momenti decisivi. Ma non c’è tempo per analisi accurate. C’è Kiev, invece. E l’ultima strada a disposizione: l’Europa. La più affascinante, la meno agile. Ieri la squadra ha ripreso gli allenamenti. L’appuntamento era alle quattro, ma un’ora prima erano tutti lì. C’è stato un colloquio, ovvio. Montella ha parlato e ascoltato i suoi giocatori. Questo è un gruppo sano, fatto da veri professionisti. E’ la testa che va resettata.
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Un black out inaspettato arrivato immediatamente dopo il gol di Matri. Lì è sparita la Fiorentina versione 2015, quella che giocava in scioltezza e senza paura, che lottava su ogni pallone, che sorprendeva chiunque incontrasse sulla sua strada. E quella ferita sanguina ancora. Lo si è visto al San Paolo. Fiorentina spenta, disordinata, impaurita.
A spiegarlo basta l’immagine di Richards che indietreggia di spalle lasciando a Mertens tutto il tempo e lo spazio per inventare il gol. Una scena da mani nei capelli.
E allora serve un contropiede. Un click nel cervello. La Fiorentina deve rimettere in circolo le proprie certezze e darsi una mossa.
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