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Quell’inizio tra i sospetti (e la battaglia dei cavilli)

Clausole, mail, traduzioni in arabo: alle origini di un amore mai sbocciato  

Redazione VN

È stato così fin dal primo giorno. Dal 2 febbraio 2015, quando ancora non si erano nemmeno visti di persona: Salah a Londra e la Fiorentina in viale Fanti a firmare «unilateralmente» (come specificano dall’agguerrito entourage dell’egiziano) l’ormai famosa «scrittura privata» e poi a inviarla via mail all’egiziano. È stato così da subito, ancora prima di stringersi la mano. Cavilli, timbri, firme, traduzioni in arabo e in inglese, postille degne del miglior azzeccagarbugli, clausole, paragrafi e chi più ne ha più ne metta. Perché Salah, atterrato a Peretola la prima volta solo il 4 di febbraio, non si può certo dire che sia arrivato a cuor leggero e con la massima fiducia. Anzi.

Altro che i sorrisi alla presentazione e per le foto di rito, insomma. Se c’è una parola che racchiude in sé il rapporto fra Fiorentina e Salah è «diffidenza». Reciproca. Anche perché, diciamolo, la priorità della Fiorentina in quell’operazione col Chelsea non era certo portare il «Messi d’Egitto» (di cui un po’ tutti ignoravano l’esistenza) a Firenze. No, ciò che contava realmente era non veder saltare la collegata milionaria cessione di Cuadrado. Solo dopo i primi gol dell’egiziano è partita la corsa di un po’ tutta la dirigenza a cercare di mettere la propria firma sull’acquisto dell’egiziano. Eppure fino al 4 febbraio — giorno del suo sbarco a Peretola — Salah aveva visto solo la firma di Sandro Mencucci (in fondo alla «scrittura privata» resa pubblica ieri dalla Gazzetta ). Lo stesso che qualche mese prima un po’ a sorpresa si era visto sfilare la carica di amministratore delegato a favore del presidente esecutivo Mario Cognigni (nell’operazione, poi stoppata, che avrebbe dovuto riportare Andrea Della Valle presidente). Firma, e timbro, dunque inopportuni? Macché, perché la caotica vicenda Salah ha permesso nel frattempo di fare almeno chiarezza sull’organigramma societario scoprendo così che lo stesso Mencucci, oltre alla carica di consigliere d’amministrazione ha conservato anche quella, ad hoc , di «amministratore delegato per l’area tecnica».

Ma torniamo a Salah. E al rapporto con la Fiorentina. Che (solo) a parole è sempre sembrato lineare. Come dopo la vittoria a Torino sulla Juventus in coppa Italia quando l’egiziano aveva fatto a fette la difesa bianconera e mandato in estasi una città intera. Compresa tutta la dirigenza rappresentata nel dopo gara dal ds Daniele Pradé. «Penso — le sue parole ai microfoni di Sky — che i tifosi possano stare sereni sul suo riscatto. Il calciatore lo abbiamo con certezza per 18 mensilità e quindi non siamo obbligato a fare subito il riscatto. Ce lo godiamo».

Un affarone dunque. Il vero colpo del mercato italiano e non solo, capace di far dimenticare la cessione di Cuadrado (e perfino l’incomprensibile acquisto di Rosi), mentre a Firenze si sprecavano battute su Mourinho diventato di colpo talmente incompetente da aver lasciato andare il proprio gioiello. Applausi invece alla Fiorentina, capace di metterla nel sacco un po’ a tutti assicurandosi un accordo talmente vantaggioso da non sembrare vero. Già, forse troppo. Anche perché nel frattempo Salah mica si era scordato di quella scrittura privata firmata dalla Fiorentina che gli avrebbe consentito di decidere in piena libertà il proprio futuro.

E allora ecco tornare i cavilli, gli avvocati, le interpretazioni e il tentativo da parte di entrambi di non raccontarsela giusta fino in fondo. Da una parte l’egiziano che in tutti questi mesi ha lasciato che sul suo futuro la stessa Fiorentina facesse progetti, prendesse impegni e spendesse promesse stando attento a non sventolare troppo la volontà di andarsene comunque, rifugiandosi dietro a sorrisi sornioni e quell’aria un po’ stralunata che nascondeva invece un piano di fuga ben definito. Dall’altra la Fiorentina che ha preferito non stuzzicarlo evitando di parlare di clausole e contratti, e lasciando credere a Salah che quell’accordo privato avesse ancora validità, salvo oggi rinnegare la firma e sostenere che la sola scrittura a cui fare riferimento resti quella depositata in Lega.

Così, senza davvero parlarsi, si è arrivati a uno scontro che ha finito per lasciare sul campo solo feriti e delusione. Oltre alla consapevolezza che il calcio non può essere solo un contratto, da firmare e da far rispettare. Serve anche prospettiva e programmazione. Parole che sembrano scomparse dall’orizzonte viola.

Ernesto Poesio - Corriere Fiorentino