Storie di calcio che resiste(va). Settant’anni fa: il 25 aprile, la Liberazione. Prima ci fu la Resistenza, prima ci furono uomini che lottarono e morirono per un’Italia libera. Prima ci furono i partigiani. Tra di loro, anche calciatori. Più di quelli che immaginiamo. Erano altri tempi. Si facevano scelte di campo, a costo della vita. In un paese lacerato dalla guerra e spaccato a metà, con un regime - quello di Mussolini - che si stava dissolvendo; questi calciatori scelsero da che parte stare.
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Quando i calciatori-partigiani liberarono l’Italia
Storie di calcio che resiste(va). Settant’anni fa: il 25 aprile, la Liberazione. Prima ci fu la Resistenza, prima ci furono uomini che lottarono e morirono per un’Italia libera. Prima ci …
IL SALUTO NO. Bruno Neri è di Faenza, è un mediano di talento, veste le maglie di Fiorentina e Torino, è entrato nel giro della nazionale del ct Vittorio Pozzo, la squadra di Meazza e Piola. Si manifesta apertamente come oppositore politico nel 1931, quando a Firenze si inaugura lo stadio locale intitolato a Giovanni Berta, uno squadrista ucciso qualche anno prima. La Fiorentina deve sfidare gli austriaci dell’Admiral Vienna. Prima del fischio d’inizio i calciatori devono rivolgere il saluto romano ai gerarchi fascisti in tribuna. E’ così che si fa. E così fanno tutti. Qualcuno ci crede, altri no. Ma nessuno vuole guai. Nessuno fuorchè Bruno Neri. Che ha solo ventuno anni, ma una coscienza civile già formata. Neri rimane con le braccia basse, dritte lungo il corpo, fino ai fianchi. Per i gerarchi è un affronto. Che non passerà inosservato.
Il mediano gioca l’ultima partita nel 1940, a trent’anni. Dopo l’8 settembre del ‘43 entra nelle brigate partigiane e diventa vicecomandante del battaglione Ravenna. Il suo nome di battaglia è Berni. Cade in battaglia il 10 luglio del ‘44, colpito a morte dai tedeschi, sull’Appennino tosco-romagnolo, mentre sta perlustrando il terreno il percorso che il suo battaglione doveva seguire. La sua storia è raccontata in «Bruno Neri, il calciatore partigiano» di Massimo Novelli.
RESISTENZA CIVILE. Armando Frigo è figlio di emigranti, nasce in America, a otto anni si trasferisce con la famiglia a Vicenza. Col pallone ci sa fare, debutta in A con la Fiorentina. Nel ‘41, a soli ventiquattro anni, parte per il fronte. Dopo l’armistizio, con l’Italia allo sbando, Frigo si trova in Croazia. Viene catturato dai nazisti, tenuto in prigionia, infine fucilato. In tasca gli verrà trovato il cartellino della Fiorentina. Roana, il paese dove è cresciuto, gli ha dedicato il campo sportivo.
Carlo Castellani è un attaccante implacabile, ha giocato con il Livorno in A, il meglio lo dà a Empoli, dove diventa una bandiera del club. Nel 1944 dopo un rastrellamento viene deportato in Germania, a Mathausen. Si consegna ai tedeschi per un equivoco: cercano un altro familiare, Castellani si dice disponibile ad andare in caserma per chiarire le cose. Non tornerà più a casa. Il centravanti che segnava gol a grappoli trova la morte cinque mesi dopo il suo arrivo nel lager, all’età di trentacinque anni.
Vittorio Staccione è figlio di un operaio di Torino, si avvicina al calcio perché lo vede giocare dagli inglesi. Nel ‘24 debutta in Prima Divisione col Torino. Giocherà anche con Fiorentina e Savoia, l’ultimo club di una carriera che dura dieci anni. A metà degli anni ‘30 torna a Torino, trova impiego in una fabbrica, operaio, come suo padre. E’ un oppositore della politica del duce, si dichiara antifascista. L’Ovra, la polizia segreta agli ordini di Mussolini, lo perseguita. Nel ‘44 uomini del regime lo catturano insieme al fratello Francesco. Staccione viene internato nel campo di sterminio di Gusen-Mathausen. Muore pochi giorni prima dell’arrivo delle truppe alleate, quando la guerra sta finendo. Sul braccio porta tatuato il numero di matricola 59160.
Furio Zara - Corriere dello Sport-Stadio
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