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Protocollo per ripartire, il nodo è sempre lo stesso: se c’è una positività, ci si ferma

(Photo by Emanuele Cremaschi/Getty Images)

Resta l’aut aut al calcio: o prendete in considerazione l’idea di fermarvi in caso di positività oppure è inutile partire

Redazione VN

Sulle pagine de La Gazzetta dello sport si parla della discussione attorno al protocollo per la ripartenza del calcio. L'ultimo documento predisposto dalla commissione medica Figc è stato ritenuto "insufficiente" dal Comitato tecnico-scientifico del Governo. Negli ultimi giorni, si sono ipotizzate varie riscritture per arrivare al confronto con gli scienziati con qualche novità e su questo ci sarebbe un accordo con la Federmedici sportivi, che era rimasta fuori dalla prima formulazione, quella bocciata. Il problema è che c’è un punto dirimente, un colle in questo momento sembra invalicabile: cosa fare in caso di positività.

Gli scienziati su questo hanno chiuso tutte le porte, ma non solo loro: di fronte a un caso, i calciatori - o i membri del cosiddetto «gruppo squadra» - devono essere trattati come gli altri. Due settimane di quarantena. Per il «positivo», ma anche per le persone che hanno avuto contatti ravvicinati con lui. La commissione medica della Figc aveva invece studiato una sorta di modello tedesco, con una chiusura di una settimana per prevenire qualsiasi possibilità di ulteriore contagio (tamponi a distanza di 24 ore e test sierologici in 5-7 giorni). La differenza è abissale: da una parte c’è la certezza del colpo di spugna sul campionato, ormai è chiaro che qualsiasi ipotesi di calendario si sfascerebbe di fronte a ulteriori due settimane di stop, dall’altra la possibilità di andare comunque in avanti. Quindi resta l’aut aut al calcio: o prendete in considerazione l’idea di fermarvi in caso di positività oppure è inutile partire. Da questa alternativa così categorica, Spadafora trae il suo scetticismo, la linea del «sentiero sempre più stretto».

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