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Perché i diritti tv scuotono la Lega?

In Lega torna sul tavolo l’argomento più scottante: i diritti tv. Cioè i soldi che tengono in vita l’intero movimento calcistico italiano: un miliardo all’anno, due terzi del giro d’affari …

Redazione VN

In Lega torna sul tavolo l’argomento più scottante: i diritti tv. Cioè i soldi che tengono in vita l’intero movimento calcistico italiano: un miliardo all’anno, due terzi del giro d’affari della Serie A. Il dibattito attorno ai diritti del prossimo ciclo 2015-18 è il primo casus belli che vede di fronte l’opposizione nata dalla rielezione di Beretta in gennaio e la maggioranza di società che ha in mano le chiavi della Lega. Fiorentina, Inter, Juve, Roma, Samp, Sassuolo e Verona da una parte, l’asse Galliani-Lotito-De Laurentiis-Preziosi dall’altra. Ma dovremmo pure dire i grandi capitani dell’industria e della finanza tricolore - Agnelli, Della Valle, Garrone, Moratti, Squinzi - contro il resto del mondo. In questo quadro complicato si è inserito il caso MP & Silva sulla vendita dei diritti all’estero. Cerchiamo di capirne di più.

Di cosa si lamentano le «sette sorelle»?

Qualche giorno fa hanno scritto una lettera al presidente Beretta e alle altre tredici società chiedendo di attuare «un percorso di sviluppo innovativo» volto alla valorizzazione del prodotto Serie A in Italia e all’estero, senza fare scelte affrettate, analizzando bene il mercato, ascoltando tutti gli operatori del settore, comparando le esperienze di successo di Premier e Bundesliga, valutando costi e ricavi di un eventuale canale della Lega.

Come funziona la vendita dei diritti italiani?

Dal 2010 si è tornati alla contrattazione collettiva. La Lega si avvale della consulenza di un advisor (Infront), bandisce gare pubbliche per tutti i pacchetti. Ci si è interfacciati col duopolio della pay tv Sky-Mediaset vendendo gli eventi per piattaforma e non per contenuto: cioè tutti fanno tutto (per la verità Mediaset ha solo 12 squadre su 20), non c’è esclusiva e, a differenza della Premier, tutte le partite vanno in tv. Il contratto con l’advisor prevede che questo assicuri alla Lega un minimo garantito (900 milioni annui): un fattore di rischio per Infront che in cambio riceve una commissione di 35 milioni dal miliardo di euro di vendite. Secondo i club dissidenti «ci sono operatori disposti a garantire ricavi attuali a fronte di una fee più vantaggiosa per la Lega». Dicono: che senso ha dare tutti quei soldi visto, per esempio, che per l’Italia ci sono i soliti Sky e Mediaset?

C’è qualcos’altro dietro l’offensiva delle «sette sorelle»?

I diritti tv rappresentano una materia sensibilissima per mettere in crisi la governance stessa della Lega. C’è uno scontro di potere e di visioni sul futuro del calcio italiano. E la défaillance contabile di Silva desta qualche perplessità nell’opposizione, da cui traspare un sospetto attorno al conflitto d’interessi di Silvio Berlusconi, proprietario di una squadra di calcio, il Milan, che fa parte dell’esecutivo di Lega con Galliani vicepresidente, fondatore di un colosso media fatto da un’emittente (Mediaset) che trasmette le partite di Serie A e la cui galassia ha avuto in passato a che fare (Milan Channel) con l’advisor della Lega e il broker dei diritti esteri. Un intreccio, tuttavia, che può non essere strano se si pensi che negli ultimi 20 anni la struttura e il know how della tv commerciale italiana sono discesi dall’esperienza berlusconiana.

La Gazzetta dello Sport