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Montolivo nel girone degli ignavi

A volte tornano, come i rimorsi, i rimpianti, i ricordi amari. Categoria, quest’ultima, alla quale appartiene Riccardo Montolivo, ex capitano viola che oggi torna al «Franchi» vestito di rossonero. Con …

Redazione VN

A volte tornano, come i rimorsi, i rimpianti, i ricordi amari. Categoria, quest’ultima, alla quale appartiene Riccardo Montolivo, ex capitano viola che oggi torna al «Franchi» vestito di rossonero. Con lui, un 8 naturale e non certo un 18 (numero che prima del blatterismo lo si usava solo nelle pettorine dello sci e sui cofani delle auto nelle gimkane di Telefortuna), Firenze non può avere rimorsi, dopo averlo fatto crescere nel calcio che conta e avergli offerto per restare un contratto sontuoso pari a quello di Jovetic. E nemmeno rimpianti, visto che a volersene andare a tutti i costi è stato lui.

Solo i ricordi amari prodotti da un addio al veleno, fatto di troppe parole vuote e poca riconoscenza. Perché da sempre non sono gli addii che determinano il risentimento, sono i modi di andarsene che lasciano il segno. E Montolivo ha scelto il peggiore, senza la cattiveria letteraria di uno Scarpia o di un Franti, ma con la goffaggine pippofrancata di un personaggio da b movie.

Poteva andarsene legittimamente (e comprensibilmente) verso i riflettori e le copertine di Milano, Montolivo, lasciando però qualcosa a risarcimento dell’affetto incassato in sette anni e di quella fascia da capitano viola che la città gli aveva consegnato. Invece, avendo il coltello dalla parte del manico (ovvero il contratto a scadenza) lui e il suo entourage hanno preferito colpire l’odiato Corvino, andandosene a parametro zero, indifferenti al fatto che così sfregiavano anche la Fiorentina e una tifoseria intera. La ferita fa ancora male.

Ora: come aveva capito Dante, Firenze da sempre ama catalogare. Per questo anche Montolivo, centrocampista geografico che al Milan ha saputo cancellare le pause di abulia che spesso macchiavano le sue gare, ha già il suo posto nell’inferno di ogni cuore viola. Non nel nono cerchio dei traditori, immerso nel ghiaccio con Bocca degli Abati e Ugolino della Gherardesca.

Piuttosto con Celestino V nel limbo degli ignavi, fra coloro che durante la loro vita non agirono né nel bene né nel male, non osando mai un’idea propria ma adeguandosi a quella del più forte. Per questo, non se ne abbia male il Monto se oggi, a un’ora più adatta al sugo d’anatra che non al calcio, molti fiorentini lo fischieranno. Quei fischi non sono il manifesto di una beceraggine, ma il grido di dissenso di un’appartenenza. L’urlo civile di chi continua a pensare un calcio diverso, magari più povero ma ricco di simboli e riconoscenza. Un calcio antognonato, per capirci, più prossimo alle ragioni del cuore che non a quelle del conto in banca e del successo mediatico. Perché se è vero che i procuratori poche volte sbagliano i loro conti, é pure vero che anche le passioni non fanno calcoli sbagliati. Ma alla fine ciò che lasciano nelle tasche dell’anima è per sempre.

Stefano Cecchi - La Nazione