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Montella-Firenze come Troisi-Benigni. E adesso non ci resta che… ridere

La maschera da attore ce l’ha: il mento pronunciato ricorda un po’ Totò e un po’ Troisi. Ma a rendere inequivocabili le origini vesuviane di Vincenzo Montella è soprattutto quell’ironia …

Redazione VN

La maschera da attore ce l’ha: il mento pronunciato ricorda un po’ Totò e un po’ Troisi. Ma a rendere inequivocabili le origini vesuviane di Vincenzo Montella è soprattutto quell’ironia leggera e allo stesso tempo amara con cui spesso affila i pensieri. Qualche esempio. Indicando un manichino che indossa la maglia viola: «Ecco il giocatore che mi serviva. Speriamo che almeno lui non si rompa... O lo abbiamo comprato già rotto?». E ancora, prima della maledetta finale di Coppa Italia all’Olimpico: «Della Valle? Lo sento addosso come un difensore asfissiante». Per non parlare della battuta rivolta all’ex designatore Braschi: «Se certe mie affermazioni vengono recepite dalla classe arbitrale come chiacchiere da bar, io mi sento offeso perché in quel momento stavo parlando proprio al barista». Infine la risposta alle critiche di inizio stagione: «Firenze è più famosa per la guerra tra Guelfi e Ghibellini che per la bellezza del Ponte Vecchio».

Altro che stile Mourinho, quello di Montella è l’atteggiamento schietto e disincantato di chi conosce un’unica strada per affermarsi: il lavoro, anche duro. Questo gli ha insegnato il padre Nicola, pensionato dell’Alfasud che a ottant’anni continua a fare il falegname. E questo gli rimane di Castello di Cisterna, la terra che lo ha visto crescere fino a quando, adolescente, è andato via per inseguire un pallone: lì le difficoltà si affrontano anche ridendoci su, quasi a renderle più umane.

Un po’ come il «sì, mo’ me lo scrivo» che in Non ci resta che piangere il Troisi-Mario rivolge al prete che gli ricorda l’appuntamento con la morte.

E proprio il film cult girato negli anni Ottanta può essere la chiave per rilanciare il rapporto tra l’allenatore viola e Firenze. In quei 111 minuti di sketch geniali e di risate senza tempo, c’è l’unione della comicità introversa e «sociale» del napoletano Troisi con l’esplosività e l’imprevedibilità del toscanaccio Benigni. Una sintesi perfetta, riuscita anche grazie alla capacità dei due attori-registi di scambiarsi i ruoli, di completarsi, di non scavalcarsi. «Sulle gag e su tutta l’impostazione del film — ha più volte raccontato l’autore de La vita è bella — avevamo la stessa visione. In quel film abbiamo fatto dei tentativi nuovi, ci siamo divertiti». Un po’ come Montella e la Fiorentina, che in due anni hanno cambiato il modo di vedere il calcio in una città dagli umori troppo instabili per essere veri. In fondo, come direbbe il Benigni-Saverio, basta uno sguardo (o, aggiungiamo noi, una battuta) per «fargli capire che hai capito».

Antonio Montanaro - Corriere Fiorentino