Il problema in quei mesi fu l'infortunio della star del gruppo, Romeo Menti, poi perito a Superga con il Grande Torino, e così la squadra arranca, costringendo il Marchese Ridolfi al cambio. Si inaugura un nuovo corso che darà in futuro ampie soddisfazioni: l'ex calciatore importante che guida dalla panchina i suoi vecchi compagni. Un'operazione che verrà ripetuta con successo negli anni Sessanta con Chiappella e più o meno un ventennio dopo con De Sisti. Galluzzi conosce i segreti dello spogliatoio essendo stato uno dei protagonisti con Pitto, Pizziolo e Petrone della prima grande Fiorentina della storia. Viene raggiunta una salvezza molto sofferta e solo grazie alla differenza reti, ma in Coppa Italia si vola con Celoria, oscuro attaccante in campionato (3 gol in 26 partite), ma implacabile in Coppa, con 5 centri in 6 partite, compreso quello decisivo nella finale contro il Genoa. È il primo trofeo portato a casa e ci vorranno più di vent'anni per vederne un altro, ancora con un cambio di allenatore in corsa. Stavolta i nomi sono nobili e fanno parte dell'aristocrazia del calcio mondiale: Luis Carniglia, l'esonerato, e Nandor Hidegkuti, il subentrante, cioè l'uomo che inventò nella grande Ungheria arrivata seconda ai Mondiali del 1954 la figura del centravanti arretrato.
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Per aiutarlo ad ambientarsi nel calcio italiano gli venne affiancato Beppe Chiappella, capitano storico che aveva appena smesso di giocare. Il grande Beppone da Rogoredo imparò così bene il mestiere che dopo un paio di annate cominciò a fare da solo, arrivando a costruire nei fantastici anni Sessanta la Fiorentina ye-ye che è poi rimasta nella storia pur vincendo poco. E in quel poco, oltre ad una Mitropa Cup, c'è la finale di Roma contro il Catanzaro, decisa a un minuto dalla fine del secondo tempo supplementare da un rigore di Bertini. Per una crudele legge del contrappasso le coronarie di Chiappella furono messe a dura prova ancora da un rigore, stavolta però sbagliato da Antognoni a Pescara. Era il 1978 e il grande cuore viola era tornato al capezzale fiorentino per tentare l'impossibile, cioè salvare la squadra: ci riuscì e ancora oggi non si capisce in che modo. Passano gli anni e passano anche gli allenatori. La coppa Italia, con una squadra che ha sempre meno pretese di scudetto, diventa quasi un obiettivo stagionale, salvo poi saltare nell'indifferenza generale subito in estate o al massimo in primavera. Nessun tecnico è mai stato messo in croce a Firenze per questo e anzi ce ne fu uno che era talmente stufo di stare in città da mollare baracca e burattini prima del termine della stagione, con la fase finale di Coppa ancora da giocare, tanto figuriamoci se... Stiamo parlando del 1975 e della saudade milanista di Nereo Rocco, che se ne va a maggio, lasciando sulla plancia di comando Mario Mazzoni, uomo tutto d'un pezzo, che tre anni dopo per amore della Fiorentina per poco non ci lascia le penne.
Sull'incredibile vittoria per 3 a 2 contro il Milan all'Olimpico del 28 giugno 1975 ci sono tesi contrastanti. Alcuni, e noi siamo tra questi, sono convinti che Mazzoni abbia fatto tutto da solo, non avendo bisogno di tutori proprio perché già secondo di Rocco, oltre che molto bravo. Per altri invece l'inaspettato successo è merito del quasi omonimo e rampante Mazzone, chiamato dal presidente Ugolini per il campionato successivo ad amalgamare tanti giovani dopo aver fatto ottime cose ad Ascoli. Le riprese in bianco e nero dell'epoca ce li mostrano comunque insieme e felici nelle rituali interviste del dopo-gara. Nessuno poteva immaginare che quel giorno partisse il lunghissimo digiuno che di delusione in delusione conduce fino all'asceta Ranieri, l'uomo delle regole di ferro, mai amato dal popolo viola, eppure vincitore di due trofei in tre mesi, quelli magici tra il maggio e l'agosto 1996.
Nella dolce notte di Bergamo, a Coppa Italia appena conquistata, si sciolse però anche il duro Claudio. Durante il viaggio di ritorno verso Firenze, con quarantamila persone che al Franchi aspettavano alle tre del mattino il rientro della squadra, Ranieri dette l'ok perché si giocasse in un orario certamente da record una partitella di puro divertimento. Non se ne fece poi di niente, ma quella fu forse l'unica volta in cui lo si vide veramente rilassato. Lo era invece molto meno cinque anni dopo Roberto Mancini, che già conosceva lo stato economico della pre-fallimentare Fiorentina di Cecchi Gori, che lui portò alla vittoria in Coppa nel 2001, dopo la strepitosa cavalcata di Terim. Quando si vince, si sa, tutto passa in secondo piano e così le ultime immagini di un successo viola restano ancora quelle legate a uno dei tecnici più invisi alla tifoseria, issato sorridente sulle spalle dei festosi invasori di campo. Tredici anni dopo è certamente il caso di aggiornare l'album dei ricordi.
David Guetta - Corriere Fiorentino
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