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Matos, la Rondine che fa primavera (anche vs Kakà)

Si ispira a Pato, detto il Papero. Ma lui, Ryder Matos, sul campo preferisce svolazzare, quasi fosse una Rondine. Il nido da cui ha preso il volo è il vivaio …

Redazione VN

Si ispira a Pato, detto il Papero. Ma lui, Ryder Matos, sul campo preferisce svolazzare, quasi fosse una Rondine. Il nido da cui ha preso il volo è il vivaio della Fiorentina. Figlio di Firenze dunque, se di pallone parliamo, aspettato da tempo come fosse la chiusura di un cerchio. Quello del giovane talento a cui si può concedere di imparare perché alle sue spalle c'è una squadra che sa lottare, divertire, soffrire, zittire San Siro, per poi restare a giocarci come fa il gatto col topo.

Già, il Meazza. La Rondine brasiliana nella Scala del calcio ci è scesa in picchiata. Prima con le cuffie nelle orecchie, per non farsi mancare la propria musica preferita al primo impatto su quel campo che ha visto il Papero diventare grande. Poi da titolare, quando la colonna sonora è cambiata, è diventata quella di un fin troppo alterato speaker che urlava fino a rompere la voce i nomi dei propri avversari. Gente famosa, qualcuno da far girare la testa. Non alla Rondine viola, che ha messo in campo le proprie armi, iniziando con le virate improvvise, le accelerazioni. E a girare, alla fine, sono state le teste di Zaccardo e Zapata, l'improbabile coppia della «doppia Z», lo stesso disegno che Matos ha tracciato sul campo facendo perdere l'orientamento ad avversari e tifosi rossoneri. Un moto incessante, efficace, sbarazzino. Così, con naturalezza, la Rondine viola ha affrontato le sfide.

Cercando di non strafare, ma rubando ogni giorno in allenamento i segreti dai campioni che gli stanno accanto, l'unico modo per imparare davvero un mestiere che sembra solo un gioco, ma solo quando lo si guarda dagli spalti. In campo è un'altra cosa, servono nervi saldi, coraggio e una buona dose di malizia. Dove può capitare anche di trovarsi di fronte un ex pallone d'oro, il connazionale Kakà, imbufalito perché non restituisci il pallone mentre tutto San Siro alza il volume dei fischi. «Me lo avevano chiesto i compagni, poi però non sapevo più cosa fare...», ha ammesso candidamente. Parole di chi forse non si è reso ancora conto di essere entrato a pieno titolo in quel mazzo di carte che Montella mischia con cura ad ogni partita. Perché in fondo il «ragazzo si farà, anche se ha le spalle strette». E magari, come cantava De Gregori, il prossimo anno «giocherà con la maglia numero 7». Proprio il numero di Pato. E magari non è solo un caso.

Ernesto Poesio - Corriere Fiorentino