Gli volevano bene tutti. Per via di quella sua passione ribollente. A fare ogni cosa metteva passione, non solo a frustare la viola, un amore per la vita, condiviso con la moglie Renza. Metteva passione a fare ogni cosa perché, diversamente, che gusto c’è. Gli volevano bene tutti. Per merito di quelle qualità che non si comprano. Era un buono, Marione Ciuffi. Un uomo sempre disponibile, capace di ascoltare in un mondo che più che ascoltare, parla, parla. Non che a lui mancassero le parole. Anzi. Gli volevano bene tutti. E ieri, alle cappelle del commiato, c’erano tutti. Con una preghiera, con un saluto, con una carezza. E lui lì, silenzioso, avvolto nel viola. Sciarpa viola al collo, cravatta con i gigli. Fiori bianchi, rossi e viola. Tanto viola, come la coccarda fra le sue dita. E biglietti pieni d’affetto. Un mare di parole vere, non buttate lì per riempire il registro dei presenti. Dediche di poche righe «all’uomo autentico che non dimenticheremo mai». Una sfilza di nomi.
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Marione, sciarpa viola al collo. Quanti amici a salutarlo
I ricordi della moglie: “Quante trasferte al seguito della Fiorentina”
Prima dell’ultimo saluto, stamani alle 10 alla chiesa di San Piero in Palco. «Salute di ferro, mai avuto nulla», dice la moglie Renza. L’ha fregato il cuore che ha fatto cileccca. Uno scompenso cardiaco, ma nulla di grave. Bastava un pacemaker, pochi giorni d’ospedale e poi via. Come prima. Invece è morto, Marione. Morto per una setticemia. Un’infezione presa in ospedale. Un batterio che l’ha consumato in fretta, portandoselo via. Mai bevuto, mai fumato. «Era un passionale, quello sì: prendeva fuoco e si arrabbiava. Ha sempre vissuto le emozioni con grande intensità». «Era andato a villa dei Glicini per fare la riabilitazione, lui non era abituato a stare in convalescenza, era sempre stato bene. Faceva tanta fatica. Si era stufato di stare all’ospedale», racconta la moglie. Che lì, tra gli amici, ricorda le tante passioni vissute col marito. «Negli anni in cui per andare alla partita bisognava partire la sera prima, prendere anche due treni. Mario non ha mai voluto mancare una trasferta: ci voleva essere sempre, dietro alla sua Fiorentina», racconta Renza. «Si partiva in treno, quante ne abbiamo passate... Ricordo quella volta Bergamo, tanti e tanti anni fa. Un viaggio che non finiva più: e pensare che ora in un’ora e mezzo si va a Milano...», si commuove, la moglie. Che veglia. Accanto al marito immobile. Zitto come non è mai stato. Non è facile abituarsi al silenzio e al vuoto di chi non c’è più. Non lo è mai. Dopo una vita insieme, è indopportabile. «S’andava dappertutto, prima il viaggio, poi la mattina una giratina in centro e poi via, di corsa allo stadio, guai a far tardi. Per carità». Lacrime e fiori degli amici. Non ci saranno più trasferte. Né per Marione né per Renza. Ma tuti i gol della Fiorentina saranno, a ogni partita, anche un po’ per lui. Che non molla il frustino. Occhio, ragazzi.
Ilaria Ulivelli - La Nazione
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