Fabio Cola, psicologo formatore, consulente di società sportive (collaborò anche col Parma ai tempi di Prandelli), di allenatori, atleti e aziende. L’importante è non chiamarlo motivatore, perché potrebbe innervosirsi. O mettersi a ridere. «Quando sento questa parola in realtà sorrido: non esiste nessuno in grado di aumentare il tasso di motivazione di un atleta. Semmai esiste un lavoro sulle relazioni, su problemi specifici, sulla percezione della realtà che può pesare sul rendimento di un atleta e di uno spogliatoio».
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Lo psicologo: “L’eredità di Pepito sulle spalle di tutti”
Così Cola: “Fare leva su orgoglio e dignità”
Bene, allora prendiamo un esempio a caso. Una squadra che deve fare un’impresa. Una squadra che però ha perso il suo uomo gol e un po’ di sicurezze. Insomma, il periodo è delicato, ma l’impresa va fatta. O, almeno, bisogna provarci.
«Beh, immagino che stia parlando della Fiorentina».
Già.
«E’ chiaro che devo fare una premessa. Seguo la vicende della Fiorentina da fuori, anche se con passione e attenzione. Ma è chiaro che non mi permetterei mai di giudicare una situazione che non conosco da dentro. Una questione di serietà. E di rispetto».
Premessa fatta. Quindi?
«Quindi, in generale, ci sono diversi modi per affrontare una situazione di questo tipo. Partendo dal problema vero: e cioè che la Fiorentina ha perso per infortunio il suo pezzo forte, quel giocatore che in qualche modo regalava certezze a tutti, caricando sulle sue spalle un bel po’ di responsabilità. Era l’uomo della salvezza. Un po’ come è stato identificato Mario Gomez in attesa del rientro. Così, almeno, leggevo sui giornali. E’ chiaro che in situazioni del genere un allenatore potrebbe lavorare per redistribuire queste responsabilità sulle spalle di tutti. Ognuno deve portare con sé un po’ di Pepito Rossi, per capirci».
Quindi si tratterebbe di ricostruire un po’ l’anima. L’entusiasmo.
«Io non so se l’entusiasmo sia calato. Da osservatore esterno dico solo che Montella non mi sembra più quello di prima. E’ più nervoso, o più teso. Lui è un ragazzo molto equilibrato, uno che prima di parlare analizza sempre i problemi ».
Beh, la sfortuna e gli arbitri forse lo hanno un po’ segnato.
«Certo, ci sta. Ma di sicuro serve una reazione. E un modo potrebbe essere anche quello che usò Lippi ai mondiali del 2006. Quando convinse i giocatori che erano rimasti soli contro tutti. La stampa li dava per battuti, il calcioscommesse li aveva resi dei nemici del popolo, nessuno credeva in loro. Insomma, fare leva sull’orgoglio e sulla dignità. In questo caso la sfortuna, gli arbitri, il pronostico a sfavore. Tutto questo può scatenare una reazione. Che non può durare tanto. E’ un fuoco fatto con la carta, che però può dare effetti immediati per un periodo limitato».
Anche il tweet ironico della società bianconera può servire a ottenere una reazione.
«Certo. E infierire sull’avversario non è mai segno di forza. E adesso le racconto una cosa».
Dica.
«Si ricorda Fiorentina-Juventus, la partita di andata?».
Non credo sia possibile dimenticarla.
«Ecco, quando ho visto che sia Tevez che Pogba avevano festeggiato il gol con la mitraglia sotto la Fiesole, emulando Batistuta e anche Osvaldo, che aveva festeggiato così a Torino al gol del 3 a 2, ho capito che la Juve avrebbe perso la partita».
Perché?
«Perché il vincente è colui che vuole vincere, non umiliare l’avversario. Vuole vincere in senso assoluto. Infierire, sfottere, prendersi gioco dello sfidante vuol dire perdere la concentrazione, sprecare energie, vuol dire mettersi sulla strada della sconfitta. Vuole un altro esempio?».
Prego.
«Il Milan a Istanbul. Coi giocatori che nell’intervallo indossano la maglietta con scritto campioni. Fine della partita. L’inizio della sconfitta».
Insomma, in sintesi: ridistribuzione delle responsabilità e reazione all’accerchiamento, chiamiamolo così.
«E’ una doppia sfida difficile, ma non impossibile, quella che attende la Fiorentina. Io credo che Montella sappia benissimo cosa fare per preparare al meglio questa partita. L’importante, in situazioni simili, è ricordarsi sempre lo spirito del karate e di molte arti marziali. E cioè lo spirito di chi non ha paura della forza dell’avversario, perché è proprio da quella che trae la propria forza. Un insegnamento universale. Che funziona».
Benedetto Ferrara - la Repubblica
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