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Lafont para tutto, anche i paragoni: “Io e Donnarumma, storie differenti”

Alban Lafont in azione durante l'allenamento a porte aperte al 'Franchi' - © ViolaNews.com

L'articolo di Benedetto Ferrara dopo la conferenza stampa di presentazione di Alban Lafont

Redazione VN

"L’Africa è povertà e sentimento, fuga e sogni che spesso abitano più a nord. È spazio, poesia, caos, dolore e amore intenso. Nella sue strade polverose, sui campetti che diventano fango nella stagione delle piogge. Bimbi urlano e giocano intorno a un pallone. L’Africa è l’infanzia di Alban Lafont, centonovantatre centimetri dagli occhi dolci e dal sorriso luminoso. Ouagadougou è stata la sua prima città. «Mio padre lavorava in Burkina Faso e io sono cresciuto lì. Ho ricordi vivi, dentro di me. Gli amici, i rumori della strada, la pioggia che quando scende allaga il mondo. Sono venuto via a nove anni, quando mio padre è andato in pensione e ha deciso di tornare in Francia. Niente di quei giorni sarà mai cancellato, sono sentimenti che resteranno sempre con me» . Il nuovo portiere della Fiorentina è stato adottato da Bryan Dabo, uno che lo ha convinto a scegliere Firenze per fare un altro passo nel mondo. « Cerca di aiutarmi a inserirmi. Lui sta imparando la lingua e io cercherò di farlo prima possibile, perché nel mio ruolo farsi capire è fondamentale » . Un fisico importante e la faccia da ragazzino. Educato nei modi e nei gesti, Lafont trasmette quel senso di umiltà che nella vita può fare la differenza. Sa di essere un ragazzo fortunato, anche perché in fondo la vita è fatta di porte girevoli e di casi che poi, alla fine, hanno sempre una logica. «Sì, quando ero più giovane giocavo attaccante, però mi ha sempre affascinato il ruolo di portiere, l’ultimo ostacolo che l’avversario deve battere per arrivare al suo obiettivo finale. Così, un giorno, quando ero con la mia squadra, il Lattes, siamo andati a giocare un torneo. Arrivati lì l’allenatore ci disse che mancava il portiere. Lui e i miei compagni mi chiesero se volevo infilarmi i guanti. Io fui davvero felice e andai in porta. Da quel giorno ho capito dove dovevo stare, quella era la mia casa».

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