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La via italiana per evitare i lutti: visite e idoneità

Non è il momento delle polemiche. Lo dice pure l’agente di Piermario Morosini, il suo amico Ernesto Randazzo, che conosceva il giocatore da 13 anni. Ma i perché che circondano …

Redazione VN

Non è il momento delle polemiche. Lo dice pure l'agente di Piermario Morosini, il suo amico Ernesto Randazzo, che conosceva il giocatore da 13 anni. Ma i perché che circondano la fine di un ragazzo nel pieno della sua vita di calciatore sono domande che fanno il giro d'Italia, soprattutto dell'Italia che fa sport.

Il defibrillatore

Si può prevenire, e quanto, e ancora di più anche se l'Italia viene ritenuta all'avanguardia con la sua «cultura dell'idoneità» rispetto al «fai da te» di altri Paesi in cui è l'atleta o l'amatore ad assumersi le responsabilità di ciò che può accadere? E quanto al soccorso: il defibrillatore è rimasto «imprigionato» sull'ambulanza? Era comunque inutile? I medici su questo sono concordi: il defibrillatore non serve in assenza di fibrillazione ventricolare. Sono domande che naturalmente devono fermarsi davanti all'assenza di una causa certa della morte di Morosini. «Dobbiamo aspettare l'autopsia», raccomanda il presidente della Federazione Medico Sportiva, Maurizio Casasco, visto che al momento attuale non è possibile sposare l'ipotesi dell'infarto o quella dell'aneurisma cerebrale, le più probabili.

La via italiana

Casasco si sforza di sottolineare: «In Italia, rispetto al resto del mondo, abbiamo una legge sull'obbligatorietà della visita per l'idoneità, che in 20 anni ha ridotto del 90 per cento i casi di morte improvvisa nello sport. Con il Coni su questo fronte siamo sempre stati impegnatissimi: la priorità è conquistare la medaglia della salute». Fabio Picozzi, che è il presidente mondiale dei medici sportivi, sostiene che «ormai anche i Paesi anglosassoni stanno seguendo la nostra via. Non credo sia il caso di fare revisioni dei controlli, casomai bisogna evitare revisioni in diminutio e scongiurare la trasformazione dei controlli in biennali». Dunque visite, controlli, idoneità: la strada italiana. Per Casasco è «importante che sia uno specialista di medicina sportiva, che conosce la sua disciplina, a intervenire nella gestione del primo soccorso». Insomma, una nuova cultura dell'emergenza, con al centro il medico sportivo, una specie di direttore sanitario che interviene «con competenze che non si fermano al campo cardiologico». E' il passo avanti che secondo Casasco è necessario fare, quello di cui il mondo dello sport, con i suoi medici, discuterà nelle prossime ore anche con il ministro Gnudi.

Un minuto

Giuliano Altamura, Direttore del reparto Cardiologia del «Pertini» di Roma, è il presidente dell'associazione «Insieme per il cuore». Premette di non essere a conoscenza dello svolgimento dei fatti, ma insiste perché avanzi «un sistema di prevenzione parallelo a quello dell'ufficialità». In pratica: l'uso dei defibrillatori, anche con «personale non sanitario, ma opportunamente formato». Per Altamura «è riconosciuto internazionalmente che un minuto di ritardo diminuisce del 10 per cento la probabilità di salvare la vita umana in gioco». E sul fronte dell'importanza dei defibrillatori interviene anche Francesco Fedele, direttore del Dipartimento di malattie cardiovascolari e respiratorie dell'università La Sapienza: il problema è la tempestività dell'arrivo del defibrillatore, «bisogna portarli in tutti gli impianti, a bordo campo».

Osservatorio Roberto Corsetti, che è il medico della Liquigas di ciclismo e che è da anni impegnato nel monitoraggio dei casi di morte improvvisa, sposta il discorso anche sul «prima». «C'è una parte nascosta, di cui non si parla, ed è fatta dei tanti casi in cui sono state salvate centinaia di persone grazie ai controlli. E' importante sottolinearlo perché ogni tanto arriva qualcuno che ci dice "spendete troppi soldi"». Poi però c'è però un altro problema di controlli. «I controlli sono gli stessi dell'82, poi c'è stato un aggiornamento che riguarda gli atleti professionisti. C'è bisogno di un osservatorio epidemiologico che ci consenta di studiare il fenomeno». Un'enciclopedia delle cause, qualcosa che possa aiutare a individuare ciò che adesso non si riesce a scoprire.

La Gazzetta dello Sport