La nuova sfida di Simeone a Real e Barça Il domatore di mostri è tornato più cattivo di prima, la sconfitta di maggio nella finale di Champions League ha moltiplicato la sua rabbia contro il potere di chi spende e spande. Lo abbiamo capito venerdì sera, al primo snodo serio della stagione: l’Atletico Madrid (dopo l’1-1 dell’andata al Bernabeu) ha sconfitto in casa il Real, ha conquistato la Supercoppa di Spagna ed è diventato il migliore «Atleti» di sempre, con cinque titoli in due anni e nove mesi di governo Simeone: prima, per questo gruppo fantastico, c’erano state un’Europa League, una Supercoppa europea, una Coppa del Re e la Liga che il Vicente Calderon aspettava da 18 anni.
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La ricetta di Simeone per battere le grandi
La nuova sfida di Simeone a Real e Barça Il domatore di mostri è tornato più cattivo di prima, la sconfitta di maggio nella finale di Champions League ha moltiplicato …
È l’ennesima medaglia sul petto in fuori del Comandante Cholo e del suo calcio da sacchi di sabbia sulla finestra, ma anche di piedi buoni e lucidità tattica, declinazione moderna di quel 4-4-2 che, nonostante tutto, non morirà mai. Poche squadre nella storia del calcio sono state a immagine e somiglianza del loro tecnico come questo Atletico, il vero Movimento antagonista del calcio mondiale. Non che i materassai siano poveri: in questa sessione di mercato hanno speso 101 milioni, incassandone 71. Ma se i tuoi nemici sono Real e Barcellona, per quanto tu possa spendere, sembrerai sempre lo sfigato che mangia pane e mortadella sognando lo stellato. L’importante è immaginare che sia caviale: «Il mio Atletico è la speranza in tempi difficili — ama ripetere Simeone dentro l’abito nero slim da Iena di Tarantino —. Noi diamo fiducia a chi lavora con mezzi limitati e lotta contro qualcosa di più grande partendo da basi limitate».
È il suo mantra da sempre, la fiera ostentazione della «garra» proletaria che, quando giocava, fece innamorare i tifosi di Inter e Lazio e regalò all’Atletico, di cui era capitano, la penultima Liga nel 1996. Il Cholo lo aveva ripetuto anche alla vigilia del nuovo trionfo quando, in una bella intervista alla Gazzetta dello sport , aveva dichiarato, realista e populista: «Non mi piace mentire alla gente. Non possiamo competere con Real e Barça. Il nostro obiettivo è il terzo posto». Teoricamente, non ha torto. Eppure, quando si tratta di entrare in campo, le cose cambiano, e i mostri si quietano. L’anno scorso, di questi tempi, si parlava solo di Bale e Neymar, gli acquisti di Real e Barcellona: poi l’Atletico li ha messi in fila nella Liga ed è arrivato a un sospiro dalla Champions nel derby madrileno a Lisbona. Quest’estate i piedi da copertina sono quelli di James Rodriguez e Suarez, però il primo titolo se lo è preso lui, salvo poi spiegare che «abbiamo vinto perché in una partita secca tutto è possibile, ma in un campionato come la Liga devi giocare sempre al 110% per vincere. Ricordate che il Barça l’anno scorso è arrivato all’ultima giornata con chance di titolo anche senza fare un grande torneo».
Il Cholo non mente. Eppure l’impressione è che questo Atletico possa continuare il cammino dell’altro, anche perché con l’allenatore si muove una società intelligente: l’addio di Diego Costa, passato al Chelsea, è stato ben compensato dall’arrivo dal Bayern di Mario Mandzukic, altro cobra dell’area di rigore. Il suo gol che, dopo 81”, ha abbattuto il mostro blanco (per dinamica, cinismo e «chirurgia» molto simile al primo di Milito al Bayern per l’Inter di Mourinho nella finale di Champions 2010) lo dimostra: rinvio del portiere Moyà (sostituto dell’altro crac partito, Courtois), Mandzukic salta di testa e obbliga Varane a una spizzata scomposta, Griezmann (altro nuovo acquisto) salta in testa a Ramos (7 cm più alto del francese), assist per Mandzukic che appena dentro l’area fulmina Casillas con un destro basso nell’angolo.
«Creatività e coraggio», più cholismo di così si muore. O si viene squalificati. Perché venerdì al 27’ del primo tempo a Simeone si è chiusa temporaneamente la vena: infuriato per una decisione su cui era in disaccordo, come un dirigente guappo da campi sterrati ha rifilato una sberla sul coppino al quarto uomo. Bruttissimo, e infatti il Comandante è stato espulso e rischia un mese fuori. Dopo almeno ha chiesto scusa, «perché è giusto riconoscere gli errori: ho esagerato». È il rischio di ogni Movimento.
CORRIERE DELLA SERA
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