A un certo punto esplosero nell´aria perfino la pizzica e la taranta mentre alla festa viola andava in scena una dimostrazione di prodotti agroalimentari tipici del Salento. Era un´estate tormentata per i tifosi, ma non per lui, finalmente solo col suo infinito ego e la sua fidata gente. Via Prandelli, ecco Pantaleo principe di Firenze, con Sinisa, Cerci, i taralli e il buon vino della terra sua. D´altra parte "il profeta Pantaleo" (questo il titolo della sua biografia uscita qualche anno fa) era entrato nel cuore della gente grazie ad anni di vera Fiorentina. Lui, Diego e Cesare: la santissima Trinità del tifoso rinato. Così diversi e così ambiziosi. Un team che funzionava: c´erano i soldi del capo, l´astuzia della vecchia volpe del pallone, la testa e il cuore di un allenatore che conosceva la strada per provare a vincere davvero. Tempi lontani. Preistoria.
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La parabola del profeta Pantaleo
Dal successo al declino, tra simpatia e arroganza. L’articolo di B. Ferrara
Da quei giorni al drammatico epilogo dello 0-5 con la Juve è successo tutto. Un tutto affogato in un immenso niente. La trinità si è dissolta. Via Prandelli, Diego due passi indietro, resta solo lui, il responsabile unico del settore tecnico e di molto altro, compresa la comunicazione (ogni richiesta di intervista fino a sei mesi fa passava dal suo tavolo), che poi, senza offesa, non era esattamente il suo forte. E´ chiaro che la storia sarebbe finita comunque. Anche se fino a pochi giorni fa c´era chi, nella Fiorentina, continuava a tifare per lui. Come il commercialista amministratore delegato Sandro Mencucci, che come il diesse era rimasto legato affettivamente a Sinisa Mihajlovic e a quel progetto del dopo Prandelli naufragato per assenza di idee vincenti. Non è che basti avere un procuratore come Sergio Berti (che nello spogliatoio chiamavano il dg) che ti apre le porte al calcio slavo e ti porta Sinisa (e anche Cerci) per costruire un nuovo ciclo. (...)
Va anche detto che se l´uscita di scena di Prandelli ha aperto il palcoscenico al direttore sportivo è altrettanto vero che su quel palco lui si è ritrovato con le tasche quasi vuote. Il tempo di un po´ di colpi (quasi tutti sbagliati) e il sole è sparito dietro nuvole nere. Errori, pochi soldi, sviste e ritardi: salvi Behrami e Nastasic, il resto meglio dimenticarlo, compreso il mercato di gennaio, quello che ha fatto inviperire i padroni, il tecnico e non solo loro.
Ma sarebbe ingiusto infierire con i giudizi sull´unico dirigente saltato dalla sedia di viale Fanti. Anche perché alla fine si è trattato di una scelta condivisa. E poi la domanda vera è: ma perché affidare il destino della Fiorentina tutto nelle sue mani? E perché aspettare il drammatico verdetto di una partita per prendere atto di determinati errori? Beh, in ogni caso Pantaleo Corvino non penserà mai di essere uscito sconfitto da questa situazione. In questi anni ha sempre prevalso la logica della teoria del sospetto: come quella dei giornalisti cattivi, cioè quelli che non condividevano certe scelte o si permettevano di esprimere opinioni diverse da quelle ufficiali.
Storie malinconiche che hanno costellato il declino di un sistema e di un personaggio che comunque ha e sempre avrà un suo peso in un mondo in cui girano più o meno sempre le stesse facce. Magari non come una vita fa: quando teneva banco al calciomercato ai bei tempi del Lecce dei miracoli. O come nei giorni ancora felici del "pacco" Melo rifilato alla Juventus. Ma un figlio procuratore e una carriera spesa sul marciapiede del pallone ne fanno un uomo sempreverde, un uomo che ha diviso e continuerà a dividere, fra i tratti di bonaria simpatia e quelli di un´arroganza tipica di chi ti dice duro: o con me o contro di me.
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Benedetto Ferrara - La Repubblica
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