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La Nazione: Balla ancora Mati, per i cuori viola

La trasformazione del centrocampista cileno: dopo mesi di difficoltà, adesso è fondamentale

Redazione VN

Probabilmente è solo una suggestione, ma quando lo vedi caracollare in campo con quella faccia triste da italiano non in gita, ti vengono in mente i racconti vintage di «Cuore», la piccola vedetta lombarda, il tamburino sardo che corre a perdifiato fra i proiettili austriaci per chiedere rinforzi al battaglione. Roba deamicisiana. Ma in fondo anche lui, seppur al contrario, la strada dagli Appennini alle Ande l'ha percorsa per intero. Matias Fernandez, ovvero l'idea che il calcio possa essere una milonga di 90 minuti da ballare con la faccia compunta del tanguero, di quelli che non sorridono nemmeno all'idea di Buttiglione rocker o Loredana Berté crocerossina. Controsensi.

Arrivato in viola con un pedigree da sballo (nel 2006 fu eletto calciatore sudamericano dell'anno e la sua clausola rescissoria al Villarreal era di 50 milioni di euro), per quasi due anni a Firenze è rimasto un'incompiuta. Un calciatore sensuale ma mai definitivo, più propenso al pesticcìo che non alla fuga e capace solo di giocate senza futuro, come quelle mati-rabone delle quali raccontavano meraviglia e invece alla prova del campo hanno perso la loro effervescenza come cedrate lasciate smarimesse.

Poi, sul finire dello scorso campionato, la trasformazione. Forse le cure di Montella, forse la consapevolezza ritrovata nei propri mezzi, che il footbaleare è anche credere in se stessi. Fatto sta che oggi Mati, centrocampista-ballerino nato nel quartiere Caballito di Buenos Aires da madre argentina (Mirtha) e padre cileno (Humberto), è un giocatore risolto, necessario e mai banale, che dà il suo meglio nell'improvvisazione. Un po' come il tango, che è fare l'amore in verticale, è storia di fuorilegge e prostitute, di un pallone che finalmente rotola dritto come una melodia e si chiama appunto «Tango», a cancellare anni di «Super Tele» e di traiettorie sghembe senza musicalità. Un giocatore di movimento perenne, di finte e controfinte, recuperato alla causa viola e non più infecondo solista di se stesso.

Così anche martedì scorso, mentre la Fiorentina smarriva il tempo sul palcoscenico brullo di Parma, lui ha tentato fino all'ultimo di tenere in piedi la baracca. Dettando la romanza (l'assist a Gomez è roba da tempio della lirica) e portando la croce con la dedizione di un mediano. Una partita di coraggio e sacrificio, condotta come sempre con la malinconia composta e la leggerezza inafferrabile di un tanghero. Ma in fondo per il deamicisiano Mati, giocare al calcio sembra questo. Ballare in un perenne tentativo di bellezza. Tangueare per accarezzare la nostalgia. L'uomo giusto per le nostre milonghe. Che in fondo, cos'è anche il tifare Fiorentina se non una ballata malinconica sul crinale eterno fra vittoria e disperazione, fra estasi e disfatta, fra meraviglia e dissoluzione? Balla in viola per molto tempo ancora Mati, giocatore fatto apposta per ogni cuore danzante.

Stefano Cecchi - La Nazione