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La nave, le radioline e quello scippo che ancora fa male

Il ricordo del quasi scudetto dell’82 con l’articolo di David Guetta

Redazione VN

«Tingeremo il mare di viola!»: che giorni indimenticabili quelli tra il 10 e il 15 maggio 1982. Tutti a Cagliari per il terzo scudetto, a pari punti con la Juve che gioca contro il Catanzaro di Massimo Mauro e Claudio Ranieri, grande rivelazione del campionato. Ore e ore a parlare di calcio con una speranza che più passava il tempo e più diventava una certezza, anche se qualche sospettoso come il sottoscritto non aveva capito bene il perché nel Processo del Lunedì il recente acquisto bianconero di Platini, che sostituiva il pallido Brady, veniva etichettato come "importantissimo per giocare la prossima Coppa dei Campioni". Seguì un dibattito che non teneva in alcun modo conto della Fiorentina, che invece avrebbe potuto tranquillamente giocare la massima competizione europea al posto dei bianconeri. Ma erano in fondo dettagli, perché intanto arrivavano attestati di grande amicizia da parte di tifoserie insospettabili, come per esempio quella romanista.

Un po' perché l'allenatore dei viola era De Sisti e molto per via dei famosi centimetri sul gol di Turone a Torino in inesistente fuorigioco che giusto un anno prima avevano privato i giallorossi del secondo scudetto. Insomma, mezza Italia tifava Fiorentina, ma certamente non Bearzot e i dirigenti federali che vedevano come il fumo negli occhi l'ipotesi di uno spareggio che avrebbe distratto e indebolito gli azzurri in vista del Mondiale spagnolo. Poi c'era la questione dell'arbitro, niente affatto secondaria. All'epoca si potevano fare cose oggi impensabili, tipo presentarsi davanti alla finanziaria dei Pontello e aspettare di parlare con il Conte: se avevi fortuna e pazienza, ci riuscivi davvero, anche se eri l'ultimo giornalista dell'unica radio privata che in casa e in trasferta seguiva la Fiorentina. "A Cagliari vogliamo assolutamente un internazionale", mi disse il patriarca della famiglia, e fu accontentato perché nell'isola mandarono come killer il signor Maurizio Mattei di Macerata, ma ancora nessuno poteva saperlo che fosse lui uno dei due assassini. Partimmo dunque in diecimila per Cagliari e contro il Cagliari di Paolo Carosi, che era stato il primo allenatore dei Pontello, ma solo perché se l'erano già trovato lì, e che sarebbe quasi certamente retrocesso in caso di sconfitta. Quelli che se lo potevano permettere presero l'aereo, la maggior parte arrivò in nave, dormendo sul ponte per ripartire subito dopo la partita.

Per l'evento più importante della propria storia la società viola sbagliò moltissimo. Fu infelice la scelta dell'albergo, il Mediterraneo, situato in una delle via più centrali di Cagliari e oggetto nella notte tra il 15 e il 16 maggio di schiamazzi continui che fecero dormire poco i giocatori. Ma quello che mancò fu soprattutto la preparazione psicologica ad un evento del genere. Non c'erano direttive precise, ognuno si comportava come meglio credeva e confesso di essere rimasto un po' perplesso nel vedere Massaro alle undici della domenica mattina tenere dal balcone della propria camera una specie di comizio davanti a centinaia di tifosi già in festa per rassicurarli della sicura conquista del tricolore. Faceva un caldo atroce e la partita era in programma alle 16.30.Un'attesa e una tensione quasi insopportabile per tutti, anche per la squadra che aveva perso Pecci, l'uomo che avrebbe dovuto fosforo al centrocampo e tranquillità all'ambiente, anche perché era uno dei pochi con Graziani, Cuccureddu e De Sisti ad aver già vinto uno scudetto. A quello che succedeva Catanzaro non ci pensava nessuno in tribuna stampa, ma tutti o quasi purtroppo in campo e in panchina. La squadra infatti sembrava distratta, incapace di mordere. Ancora non facevo la radiocronaca, ascoltavo quello che diceva Ameri dalla Calabria e soffrivo enormemente fino a quando non schizzai in piedi al quarto d'ora della ripresa: aveva segnato Graziani su papera del portiere Corti e la Juve stava ancora pareggiando. In quel momento eravamo Campioni d'Italia. Durò un attimo e il risveglio fu terribile: Mattei annullò per "fallo di confusione", cioè niente perché semmai il fallo lo aveva fatto Corti, ma così aveva deciso e così fu. A un quarto d'ora spaccai la radiolina sulla vetrata del Sant'Elia, quando comunicarono che "l'eroe" Brady, quello che se ne sarebbe dovuto andare al termine di quella gara (quanta retorica su quel rigore segnato…) aveva portato in vantaggio la Juve. I minuti finali li ricordo come un incubo, non ci voleva credere nessuno, ma in mezzo a decine di passaggi inconcludenti a centrocampo stavamo perdendo uno scudetto strameritato.

Nel tardo pomeriggio di una Sardegna bellissima e crudele di metà maggio noi ventenni di allora lasciammo lì, in quel bruttissimo viale che costeggia il Sant'Elia, le nostre speranze calcistico-adolescenziali e ancora non sapevamo tutto. Scoprii il tristissimo finale della storia nell'albergo viola, il famigerato Mediterraneo, quando da "Novantesimo minuto" partirono le immagini da Catanzaro. Il rigore bianconero era netto (fallo di mano sulla linea su tiro di Fanna), ma prima Brio aveva steso in area con una gomitata Borghi. Fallo netto, ma Pieri aveva sorvolato. Uno che lascia correre, l'altro che fischia falli inesistenti, è così che si perdono, o vengono rubati, gli scudetti. E poi uno va a chiedere ai fiorentini il perché della feroce rivalità con la Juve…

David Guetta - Corriere Fiorentino