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La grande differenza di essere (e avere) Montolivo

Anche nei momenti peggiori, il leader del gruppo è rimasto lui. Con o senza la fascia di capitano al braccio, Riccardo Montolivo non si è sottratto di fronte alle proprie …

Redazione VN

Anche nei momenti peggiori, il leader del gruppo è rimasto lui. Con o senza la fascia di capitano al braccio, Riccardo Montolivo non si è sottratto di fronte alle proprie responsabilità. E' il punto di riferimento della squadra, la cerniera del gioco: che funzioni o si inceppi, molto dipende sempre da lui. E' poi l'unico, oltre a Jovetic, ad aver festeggiato il gol in trasferta, due mesi fa, a Novara: oggi, senza Stevan, avrà anche per questo una responsabilità in più. Di partite ne ha sbagliate tante, qualche volta perso, altre arreso, ma proprio contro il Cesena, domenica, nel pomeriggio della prima finale per la salvezza, ha tirato fuori l'orgoglio e - piace immaginare - anche quel che resta di un vecchio amore. Ha tracciato la strada, quella che i compagni senza esitazione hanno seguito. E' stato il migliore fra i viola, ha preso gli applausi dei compagni e pure quelli dell'allenatore. Delio Rossi, alla vigilia, aveva detto: «La differenza la fanno prima gli uomini, poi i calciatori». Aveva ragione: Montolivo e Vargas si sono ritrovati così, mettendoci la faccia prima ancora della gamba. Ed è così che il capitano degradato è tornato a riaccendere ricordi e rimpianti. Ha riportato a galla gli errori reciproci commessi di una storia finita male, che doveva almeno provare a concludersi meglio.

MEGLIO CHE IN BICI - Hanno fatto bene prima Mihajlovic e poi Rossi a tenerlo in campo. Inutile avere una Ferrari a disposizione se poi, in quei pochi mesi, la si tiene in garage per ripicca. Anche quando sbagliava, anche quando sembrava pensare ad altro, magari al Milan che da tempo pare la sua destinazione prossima, Montolivo non ha mai tirato indietro le gambe. Lo ha ripetuto fino alla noia Rossi e lo stesso diceva Sinisa. I dirigenti lo avrebbero visto bene in tribuna, i tifosi, specie all'inizio, lo hanno fischiato, ma chiunque lo guardasse in trasparenza notava che anche negli errori o nelle ripartenze lasciate agli avversari mai c'era stato dolo. Perché Riccardo può vivere i tarli dell'addio quanto vuole, ma dentro c'è sempre qualcosa che lo tiene legato alla Fiorentina. E poi c'è l'amor proprio, la voglia matta di dimostrare a tutti che la sua non è stata una fuga, un tradimento, ma una conseguenza della biforcazione fra i progetti dei Della Valle e i suoi sogni. Da qui la voglia di chiudere bene, da qui l'orgoglio al quale, giustamente, ha fatto ricorso lo stesso Rossi che ha bisogno dei suoi (pochi) campioni per provare a uscire indenni dalla palude. Montolivo, col Cesena, sul campo ha risposto benissimo, con una gara importante, una delle sue migliori, battendosi, rischiando, riuscendo persino a scaldare la gente di Firenze che lo ha di nuovo applaudito. Oggi avrà un'altra occasione, l'ennesima chance per dimostrare di essere un uomo e un grande giocatore, non solo quando veste la maglia azzurra con il suo allenatore, Cesare Prandelli, ma anche in viola, quella che per anni è stata la sua seconda pelle e che lo accompagnerà dritto fino ai prossimi Europei.

ANCORA CAPITANO - Ora più che mai la Fiorentina ha assoluto bisogno di Montolivo. E la sua storia a Firenze ha troppi ricordi importanti perché lui si tiri indietro. Giocherà per l'ennesima partita con il peso della diffida, ma senza lasciarsi condizionare. Gli mancano quattro partite per tagliare il traguardo delle 250 presenze in viola e non intende ritardare l'appuntamento. Da leader indiscusso vuole traghettare la nave in acque meno agitate: per farlo non ha bisogno di indossare la fascia al braccio, capitano lo è nell'anima. Sa che il futuro dipende da oggi. Conquistare tre punti significherebbe confinare la paura ad un ruolo marginale. Al resto, lui, non ci vuole nemmeno pensare. Prima bisogna vincere.

Francesca Bandinelli - Corriere dello Sport-Stadio