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La Grande Bellezza di Tomovic, eroe della fatica

La bellezza nello sport la fanno i campioni. Ma cosa sarebbero costoro senza i gregari che faticano, rincorrendo ciò che il talento esenta dal fare? E cosa sarebbero le squadre …

Redazione VN

La bellezza nello sport la fanno i campioni. Ma cosa sarebbero costoro senza i gregari che faticano, rincorrendo ciò che il talento esenta dal fare? E cosa sarebbero le squadre dei campioni senza chi, quasi sempre in silenzio, tampona, ricuce, corre, porta la croce e spesso randella alla bisogna? I gregari, amanuensi oscuri ma indispensabili di un romanzo che all'apparenza sembra scritto solo da altri. Ditemi voi se Nenad Tomovic non appartiene alla categoria?

Silenzioso come un autunno belgradese e roccioso come le Bocche del Cattaro, il nostro viene da Kragujevac (città serba che ha dato i natali anche a Marija Serifovic, cantante che nel 2007 vinse l'Eurofestival, così per dire) e da più due anni nell'Eurofestival viola svolge il ruolo di tuttofare difensivo fedele al ruolo assegnatogli. Quello, appunto, di portatore d'acqua in una squadra composta di architetti spagnoli e cileni, e di ingegneri balistici tedeschi e americani, con questi ultimi, ahimé, troppo spesso in cassa mutua.

Nenad Tomovic, un gregario viola al servizio del talento altrui come lo sono stati nel passato Corrieri per Bartali, Masciarelli per Moser, Conti per Pantani e Carrea per Coppi, che quando al Tour si ritrovò a sorpresa in maglia gialla disse in lacrime al capitano Fausto: «Questa maglia non mi spetta». Perché i gregari son fatti per soffrire e quando gli altri vincono a loro quasi non è consentito ridere. Il gregario, quel «proletario / che ai campioni di mestiere / deve far da cameriere / e sul piatto, senza gloria / serve loro la vittoria», secondo la filastrocca bella e armoniosa di Gianni Rodari.

Per questo che non sia un terzino di fascia puro, di quelli che a destra arano il campo con la celestìa di un angelo (Djialma Santos e il primo Thuram, Gentile e Surbier, il compagno bruno del biondo Krol), in fondo è solo un dettaglio. Quelli come Nenad portano la croce adattandosi a giocare laddove chiede il mister e secondo il bisogno della squadra. Un «non titolare» che gioca quasi sempre ma senza un ruolo definito e anche per questo sottovalutato da tutti. Pubblico amico compreso.

Non a caso quando tre domeniche fa con l'Inter ha iniziato quella fuga verso la porta come un incontenibile Cafu slavo, lo stadio prima ha trattenuto il respiro non capendo, poi ha scosso la testa: «Ma dove vuoi che vada...». Mica poteva immaginare che il futuro era una palla di cannone acceso e lui la stava raggiungendo. Poi la rete che si gonfia, gli spalti che sobbalzano e Nenad che, quasi in lacrime, va a raccogliere l'abbraccio caldo della Maratona come un figliol prodigo che ha da farsi perdonare un'assenza. In un calcio proletario e di popolo, verrebbe quasi da dire che i suoi gol, per il profumo di fatica che emanano, sprigionano più gioia che non quelli dei baciati dalla grazia. Tomovic, l'eterno irrisolto se nello sport l'applauso lo valga più la meraviglia o la dedizione.

Stefano Cecchi - La Nazione