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La Gazzetta: Luis Enrique come cappuccetto rosso

Ci sono tante varianti nella favola di Cappuccetto Rosso. In Francia, ad esempio, la bambina muore divorata, in Germania invece esce indenne dalla pancia del lupo ucciso. Ecco, lo psicodramma …

Redazione VN

Ci sono tante varianti nella favola di Cappuccetto Rosso. In Francia, ad esempio, la bambina muore divorata, in Germania invece esce indenne dalla pancia del lupo ucciso. Ecco, lo psicodramma che vive la Roma alla vigilia della partita contro la Fiorentina sembra lo snodarsi della medesima fiaba tenera e feroce, in bilico però sul doppio finale. La strana giornata, conclusa con la notizia che la presenza di capitan Totti — causa febbre — è appesa ad un filo, si consuma con due protagonisti: Franco Baldini e Luis Enrique. In attesa che l'attualità ridistribuisca tutti i ruoli della favola, due personaggi sono già assegnati: Cappuccetto è lo spaesato allenatore spagnolo e il lupo siamo noi, giornalisti e perciò sicuramente cattivi, in compagnia di quei tifosi che con più ruvidezza chiedono la testa del tecnico.

(...) Ci si attendeva un Luis Enrique più sereno. Invece, con l'infantilità di un Cappuccetto (giallo)rosso, l'allenatore mette il broncio e, dopo uno spiazzante silenzio iniziale di 50 secondi (!), esprime in modo rancoroso le sue verità. «Ho sempre detto che gli allenatori si giudicano per i risultati e noi siamo ancora in lotta per la Champions. Totti? Lui è il giocatore più importante, ma ha 35 anni e la squadra deve abituarsi a gioca senza di lui. Io 10 anni alla Roma. Scherzavo, qualcuno di voi potrebbe morire... Non sarà così, non vi preoccupate. Non saranno neppure 5 anni». E quando gli si chiede, alla luce dell'autocritica di Baldini, quale sia la sua, comincia il sarcastico mantra: «Ho sbagliato tutto. I 50 punti sono tutti colpa mia. Alla società e ai giocatori parlo direttamente». E ai tifosi che invece si affidano ai media? «I tifosi li rispetto profondamente, con voi però è diverso. Io ho individuato i problemi della Roma, ma pensate che ve lo andrò a dire quando mancano le 5 giornate più importanti? Credo che il mio gioco si possa adattare al calcio italiano. Comunque per i voti aspettiamo fine stagione. Il giorno in cui la società non avrà fiducia in me, o se i giocatori non mi seguiranno, oppure se i tifosi penseranno che non sia adatto a fare l'allenatore della Roma andrò via». Finale con l'acida risposta data a chi gli domanda come intende pagare dopo tante ammissioni di (esclusiva) colpevolezza. «Lo dirò tra 5 settimane». Una frase che sa tanto di voglia di commiato unilaterale, che a quel punto non dispiacerebbe più nemmeno al club. Occhio però: la favola di Cappuccetto, qui a Roma, deve ancora scegliere il finale più adatto.

La Gazzetta dello Sport