E ora, Pepito, si prenda tutto il tempo di cui il suo ginocchio martoriato necessita. Perché non è dalla fretta di rientrare «che si giudica un giocatore». Non stavolta almeno, visto che in questo senso Giuseppe Rossi ha già fornito ampie prove della sua enorme forza di volontà. Adesso però è il momento di fermarsi, perché scadenze immediate non ce ne sono e perché ciò che conta è solo tornare in campo il più integro possibile. Guarire insomma, o almeno stabilizzare la sua situazione, che potrebbe anche significare accettare la nuova condizione di giocatore tanto talentuoso quanto fragile e come tale imparare a gestirsi.
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La frenesia del campione (e le lacrime dell’uomo)
Il calvario di un giocatore tanto straordinario quanto sfortunato. L’articolo del Corriere Fiorentino
«Non sono di cristallo», così il giorno prima dell’ultimo stop per l’infiammazione al menisco Pepito aveva tuonato sulle colonne della Gazzetta dello Sport . Quasi un grido contro la sfortuna, ma anche la dimostrazione che forse, Pepito, ha continuato a chiedere troppo a se stesso e alle sue articolazioni così indebolite quasi rifiutandosi di guardare in faccia la realtà. Ed è così che probabilmente oggi, anche alla luce di una preparazione estiva molto personalizzata (poche le gare giocate da Rossi) che già aveva generato più di un dubbio, va riletto lo scontro con Cesare Prandelli, lo staff medico della Nazionale e la mancata convocazione ai Mondiali.
Già, il Brasile, quel miraggio che probabilmente ha finito per peggiorare le cose, illudendo Rossi e portandolo ad affrettare i tempi pur di essere disponibile per il finale di stagione. Una corsa contro il tempo iniziata a gennaio dopo l’infortunio contro il Livorno e il viaggio in Colorado dal professor Steadman. «Nessuna nuova rottura del crociato già precedentemente operato» così sentenziò il luminare statunitense che in accordo con il giocatore, nonostante comunque gli esami avessero evidenziato un «sollecitamento del legamento», scelse per la «terapia conservativa» escludendo dunque quell’intervento a cui nei prossimi giorni Rossi dovrà invece sottoporsi. Una decisione, quella iniziale presa da Steadman, non errata in assoluto visto che senza una lesione difficilmente si ricorre a una operazione. Tutto nella norma insomma, se non fosse però che quella di Rossi non può essere considerata una situazione normale. Ed ecco che allora il fattore psicologico, quel sentirsi «uno come gli altri» nonostante tutto, potrebbe essere decisivo, unito alla voglia di tornare in campo il prima possibile dopo quasi due anni di inattività.
L’ennesimo stop però sembra aver squarciato l’illusione. E le lacrime di Pepito al centro sportivo viola il giorno prima di Ferragosto una volta capito di essere solo all’inizio dell’ennesimo calvario sono lì a dimostrare ancora una volta quanto il piccolo campione viola sia continuamente messo a dura prova, sia fisicamente (durante le vacanze ha lavorato intensamente per farsi trovare pronto con il suo fisioterapista di fiducia) sia mentalmente. Per tutto questo Pepito avrà bisogno di tempo, di una società, di compagni e di tifosi pronti a stargli vicini senza conteggi alla rovescia sul suo possibile rientro. Il primo a saperlo è Vincenzo Montella che più volte ha fatto capire di aver dovuto quasi frenare Giuseppe e la sua voglia di esserci sempre e comunque.
Solo così, probabilmente, Rossi potrà tornare a percorrere la strada del miglior recupero possibile. Se poi sarà completo o meno lo diranno gli interventi a cui si sottoporrà e le analisi con cui verrà monitorato nei prossimi mesi. Sperando di non dover poi solo appellarsi alla fortuna per iniziare a scrivere la seconda parte della sua carriera. Perché il caso, in tutto questo, c’entra fino a un certo punto. Almeno non dallo scorso gennaio in poi quando la voglia di inseguire un sogno ha finito per rendere Pepito ancora più fragile. E molto umano, con tutti quei limiti che spesso gli atleti tendono a dimenticare.
Ernesto Poesio - Corriere Fiorentino
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