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La favola è finita: così hanno distrutto l’Albinoleffe

Se passerà la linea-Palazzi, l’AlbinoLeffe comincerà la stagione in Prima divisione da -27 in classifica. Ai bergamaschi era stato proposto di patteggiare 10 punti, ma il club ha rifiutato. Il …

Redazione VN

Se passerà la linea-Palazzi, l'AlbinoLeffe comincerà la stagione in Prima divisione da -27 in classifica. Ai bergamaschi era stato proposto di patteggiare 10 punti, ma il club ha rifiutato. Il perché lo ha spiegato uno degli avvocati, Luca Tettamanti (l'altro è Eduardo Chiacchio, che lo scorso anno «salvò» il Benevento, passato da una richiesta di -14 a -2 finale): «Non è una scelta né scriteriata né presuntuosa. La società è vittima di ex tesserati infedeli», quindi qualsiasi passo buonista della vicenda non sarebbe «in linea con i valori di correttezza, lealtà e trasparenza che sono sempre stati portati avanti nei confronti di avversari, tifosi e appassionati di calcio in tutti questi anni».

Dalla favola all'incubo

L'autodistruzione dell'AlbinoLeffe è cominciata quattro anni fa: 15 giugno 2008. Quella sera, pareggiando 1-1 a Lecce dopo aver perso 1-0 la finale di andata in casa, la squadra bergamasca vide sfumare la possibilità di salire in Serie A. L'AlbinoLeffe non era già più una favola calcistica, ma una certezza. Con Gustinetti in panchina ha giocato il calcio più bello, era diventata la squadra-simpatia. Finì la stagione regolare a 78 punti e negli ultimi nove campionati di B, con i bergamaschi sempre presenti, soltanto un'altra volta 78 punti non sono bastati per essere promossi (quest'anno). Da allora c'è stato un lento, ma inevitabile declino. E oggi sappiamo che non di naturale estinzione si è trattato, ma di autodistruzione. L'AlbinoLeffe l'hanno sfasciato da dentro proprio coloro che avevano contribuito a creare il modello. Senza sottovalutare le colpe di un presidente appassionato (Gianfranco Andreoletti), ma presto travolto da delirio di onnipotenza, e di una dirigenza che negli ultimi anni non ha certo brillato per competenza, le responsabilità maggiori sono da ascrivere ai giocatori, soprattutto quelli in questi giorni sotto processo.

Colpevoli e innocenti

Attenzione: anche qui c'è una diversa gradazione di colpe. Per esempio, Marco Cellini, l'ultima stagione a Modena, ha patteggiato 4 mesi per omessa denuncia. Gervasoni aveva invitato anche lui nella taverna di casa quando ci fu l'incontro per mettere in piedi il Grande Tarocco, prima di Pisa-AlbinoLeffe. Ma Cellini si alzò, disse no e tornò a casa. Dicono che passò la notte a vomitare per la rabbia, ma non denunciò. «Gervasoni mi aveva detto che se non ci fosse stato il consenso di tutti non se ne sarebbe fatto nulla», si è giustificato con Palazzi. Invece, Pisa-AlbinoLeffe fu la prima di una lunga serie di combine, che però non hanno mai visto coinvolto Cellini. Gervasoni e Carobbio, invece, con i loro amici slavi Gegic e Ilievski avevano messo in piedi un'organizzazione che non lasciava nulla al caso e che ha continuato a trafficare anche lontano da Bergamo. Secondo il racconto dei due pentiti, all'AlbinoLeffe avrebbero aderito Ruopolo, Conteh, Caremi, Narciso, Serafini, Coser, Passoni, Poloni, Garlini e Ferrari. Otto hanno patteggiato pene miti, qualcuno con convinzione (se non avessero confessato Ruopolo e Conteh sarebbero finiti in galera), altri come minore dei mali (Poloni).

I dubbi

Ma c'è anche chi si sente stritolato da un meccanismo perverso. E' il caso di Nicola Ferrari, citato da Gervasoni come uno dei giocatori a conoscenza del tentativo di combine di Rimini-AlbinoLeffe, assieme a Poloni, Garlini e Ruopolo. Che però non fanno il suo nome. Poloni e Garlini, poi, sono stati per decenni simbolo della squadra, tanto da continuare a restare in società come tecnici. Che abbiano «tradito» per soldi è difficile da credere. Nell'inchiesta sono entrati altri ex AlbinoLeffe: Acerbis e Gritti (finiti in carcere), Joelson (ai domiciliari), Colacone (proposti 4 anni) e Iacopino (3 anni e 6 mesi di stop). Senza dimenticare che, agli atti, non mancano sospetti sulla stessa società. Ma se così fosse, dovremmo definitivamente smettere di credere alle favole.

La Gazzetta dello Sport