stampa

Kuba, una vita senza limiti

Adolescenza complicata e aggressiva: il mondo privato del nuovo acquisto viola

Redazione VN

Jakub Blaszczykowski aveva undici anni quando vide morire la mamma, accoltellata in casa da Zygmunt Blaszczykowski. «Non ho mai perdonato mio padre e non ho mai capito perché mi sia successa una cosa del genere», ha scritto Jakub nella sua autobiografia. Messo nero su bianco, l’incubo è diventato un mostro di carta parzialmente domato: una specie di psicanalisi editoriale, dopo tanti anni in cui Jakub non voleva parlare del suo dramma personale.

Zygmunt Blaszczykowski fu condannato a 12 anni, il bambino rimase a lungo sotto choc, incapace di comunicare dopo aver assistito all’omicidio e nessuno, anche nei mesi successivi, riusciva a estrarlo dal buio in cui sembrava volesse passare il resto della propria vita. Jakub si isolò. Lasciò il calcio per un anno e solo due persone (la nonna Felicia e lo zio Jerzy, ex capitano della nazionale di calcio polacca) riuscirono con moltissima fatica a ricostruirgli intorno un po’ di normalità.

Adolescenza complicata e aggressiva, carattere chiuso. Ma fortissimo. Rabbia e orgoglio in un corpicino rimasto intrappolato in poco più di un metro e mezzo di altezza fino a 16 anni. «Poi – racconta il giocatore nel suo libro – sono improvvisamente cresciuto. Venti centimetri». Altezza accettabile per un calciatore professionista. A diciotto anni l’esordio con il KS Czestochowa, poi il Wisla, fino al trasferimento nel Borussia Dortmund nel 2007. Tre anni dopo il matrimonio con una ragazza conosciuta a Czestochowa, Agata Golaszewska. Nel 2011 la nascita di Oliwia, lo scalino finalmente compiuto verso il ritorno all’interezza.

Ma c'è sempre il passato che ritorna. «Ogni volta che segno dedico il gol a mia madre, sento che da lì dove si trova mi aiuta». Anche quando si è rotto il legamento crociato del ginocchio nella partita contro l’Augusta, il 25 gennaio del 2014, Jakub ha pensato che niente di peggio nella vita avrebbe potuto succedergli, dopo aver assistito all’assassinio della madre. Dopo 226 giorni è tornato in campo con il Borussia, poi ha subito la rottura di una fibra muscolare.

Nelle ultime settimane ha dovuto fare i conti con una fastidiosa forma di callosità. Certo se fosse il campione visto nel 2013 (41 presenze, 14 gol, finale di Champions persa contro il Bayern) difficilmente sarebbe arrivato in prestito a Firenze nell’ultimo giorno di mercato. Blaszczykowski è chiamato per comodità Kuba e nessuno – a cominciare dai titolisti – si oppone alla scelta.

E’ arrivato ieri sera a Firenze portandosi dietro la sua faccia da duro e la voglia di rimettersi in gioco in un altro campionato. Ala destra, pura. Ci sarà molto bisogno di lui senza un certo Joaquin.

Angelo Giorgetti - La Nazione