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Io, Montella. Nato per sfondare. Ecco il Vincenzo segreto

Un ragazzo del Sud che ad Empoli ha trovato la pista ideale per decollare. Anche nei momenti bui.

Redazione VN

Vincenzo dormiva a casa dell'Ernestina e di nascosto prese il treno per stanare Di Natale fuggito in Campania, scosso da una crisi di malinconia e deciso - tredicenne con il muso - a mollare il calcio per incompatibilità geografica. «Montella è stato sempre più maturo della sua età», ricorda Fabrizio Faraoni, da trent'anni dirigente del settore giovanile dell'Empoli e tutor delle nidiate importate dal Sud. C'era anche Vincenzo fra i ragazzi scovati da Silvano Bini, micidiale setacciatore di talenti baby (solo in quegli anni Baiano, Birindelli, Brambati, Caccia, Cecconi, Dainelli, Del Nero, Di Francesco, Di Natale, Ficini, Galante, Gautieri, Zennaro): il viaggio nella memoria empolese ricostruisce l'identikit di ragazzino napoletano decisamente diverso dall'icona-sciuscià. Montella è sempre stato un meridionale molto nordico. Anche da ragazzino era riservato e dava poca confidenza. Sempre un passo più avanti. Ciuffo da una parte e sguardo pure, diretto in altre dimensioni. Vita monotona ma con la testa giusta (come gli dicevano quelli che fiutavano il futuro dei calciatori): casa dell'Ernestina-allenamento-casa dell'Ernestina.

Che poi non era la fidanzata, ma la chioccia della società per fare da mamma ai baby del Sud, quasi tutti campani selezionati dal talent-scout Damato e presi in considerazione da Bini, scarpe grosse e cervello fino. «Vincenzo era il più equilibrato di tutti, a quattordici anni come testa ne dimostrava diciotto _ ricorda ancora Faraoni _. Andava anche bene a scuola. Colpivano il suo equilibrio e l'educazione, pur in un contesto così lontano dalla sua realtà». Non era questo l'unico tratto distintivo: «Ha sempre avuto un sano distacco dalle situazioni più coinvolgenti, anche quando poi è tornato da noi come calciatore di grido». Disponibile, sì, ma anche distaccato. «Io fui meno distaccato - confessa Oriano Usignoli, barista del centro sportivo di Monteboro dove si allena l'Empoli - perché una volta Vincenzo tornò a Empoli e mi regalò la maglia della Roma. Oh, è incredibile: quando giocava contro di noi segnava sempre. Un killer. Insomma, quella volta lui voleva regalarmi la maglia della Roma e io gli urlai: sai dove puoi mettertela? Finì quasi la nostra amicizia, lui è permaloso, io anche, ma poi qualche anno dopo ci siamo riabbracciati».

Qui nel centro sportivo di Monteboro ci sono tante foto di Montellino adolescente: sempre il più piccolo di tutti nelle formazioni appese alle pareti. Il suo sorriso spunta appena, nascosto dalla spalla di un compagno, nella foto della squadra Primavera che ha vinto la coppa Italia, primo titolo nazionale dell'Empoli. Lui ovviamente c'era. E c'è stato spesso da quando allena la Fiorentina per le partite a calcetto del giovedì sera nel centro sportivo di Monteboro: una rimpatriata a orologeria _ immancabile ogni sette giorni, impegni di coppa esclusi _ insieme a Caccia, Giampieretti, Gelain, Cupi, Esposito, Drago, Buscé e Guarino, l'amico forse più amico di tutti, padrone del bar Cristallo. Tutti empolesi di ritorno, tutti rimasti nell'orbita di una città che è riuscita a tendere un filo con anime arrivate da lontano.

Quel famoso giorno Vincenzo uscì da casa dell'Ernestina e prese il treno. Voleva capire se Di Natale voleva fare il calciatore oppure perdersi nelle sue fughe verso casa: toccava a lui - il giovane più anziano di tutti - il compito di stabilire una volta per tutte il senso di quello psicodramma. «Nei momenti più difficili - testimonia Silvano Bini - Montella riusciva a mantenere una calma superiore. Era perfino gelido, un calcolatore. Era un ragazzino e ragionava già da calciatore adulto». Tanti ragazzi del Sud, tante vite da rimontare lontano da casa. Quella di Montella era iperlogica, un gioiello svizzero rispetto alle altre a volte accidentate per lontananza degli affetti familiari. Sorride Athos Bagnoli, presidente del centro di coordinamento dei club azzurri che troviamo allo stadio, a pochi metri dall'allenamento a porte chiuse dell'Empoli in un posto dove i cronisti non sarebbero ammessi.

«Occhio ragazzi, questo viene da Firenze». Strizzata d'occhio. Nel centro sportivo della Fiorentina a condizioni invertite sarebbe probabilmente partita una fucilata. Athos ha visto Montella ragazzino, anche lui lo ricorda per l'estrema serietà: più che quello di un allenatore, alla fine sembra di ricostruire il ritratto di un bancario. Però, c'è un però... «Ora non voglio dire che le rubassero, ma quei ragazzi che venivano dal Sud scendevano alla stazione e prendevano in prestito le biciclette che trovavano senza lucchetto. A volte qualcuna tornava al suo posto. Altre no...». Stai a vedere che anche Vincenzo, il napoletano-svizzero, qualche volta scroccava un passaggio illecito per tornare dall'Ernestina. Sarebbe una notizia. Un po' di sana normalità da emigrante adolescente, anche se probabilmente anche a tredici anni Vincenzo aveva giacca e cravatta. Direzione piani alti del calcio, perché lui aveva già la testa giusta.

La Nazione