Pare che in Slovenia il suo soprannome sià “ Jojo”. A Firenze conviene scriverlo sottovoce, visti i possibili paragoni del passato prossimo. E comunque: Josip Ilicic, profugo di guerra bosniaco con la nazionalità slovena, è per ora un’incognita indecifrabile e cara a prescindere da ogni soprannome. Pagato quanto l’Imu del Ponte dall’Indiano, il nostro per adesso rimane un Oggetto Misterioso nel Paese delle meraviglie calcistiche chiamato Fiorentina. Un giocatore timido e mono vocale che sembra uscito da quei giochini futili che si facevano in gita alle Medie («Dire centrocampisti solo con la i». E l’altro: «Birji Viliri, Imbrisini, Pizirri, Ilicic», appunto). Eppure da Palermo ce l’hanno spedito con l’imprinting del campione. Lungilineo con lo stesso fisico di una pala eolica e di un ripetitore Vodafone, il nostro quando scorrazzava alla Favorita sembrava davvero un trequartista travestito da palo della cuccagna, inafferabile per gli avversari ma carico di doni per i tifosi rosanero. Un ombroso che si nascondeva fra le pieghe della partita ma, quando si accendeva, divorava col fuoco del suo talento la squadra avversaria. Fin qui a Firenze ha purtroppo divorato solo la pazienza di molti tifosi, più predisposti oggi alla pernacchia nei suoi confronti che non all’applauso. Peccato.
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Ilicic, il campione misterioso
Pare che in Slovenia il suo soprannome sià “ Jojo”. A Firenze conviene scriverlo sottovoce, visti i possibili paragoni del passato prossimo. E comunque: Josip Ilicic, profugo di guerra bosniaco …
Certo, Montella fin qui non gli ha dato molte occasioni per mostrare il suo talento da brasiliano slavo, schierandolo quando è capitato anche in ruoli non propri. Come quel «falso nueve» che lo obbliga a giocare spalle alla porta quando lui avrebbe bisogno di spazi aperti da dragare e cieli liberi per far esplodere quel suo sinistro che, balisticamente, rimanda alla fionda vendicatrice e inesorabile di “Thierry la Fronde” (gli sceneggiati tv visti da bimbo restano nella mente perennemente, ahime). Ma è anche vero che lui, oggettivamente, ha riconsegnato poche emozioni all’almanacco viola della stagione: un gol col Bologna e uno in Coppa al Siena, una buona gara col Sassuolo e poco più, col suo tempo speso principalmente in panchina a vedere il Montella show lateralmente, come fanno gli abbonati del parterre di tribuna, riahimè. Val dunque la pena dare ancora fiducia a questa mezzala tutta «i» e niente emozioni? Vale la pena aspettare che, da incognita cara come una finanziaria di Amato, torni ad essere il Superpalo della cuccagna di Palermo? La risposta dovrebbe essere: sì.
Perché il limite tra la pantegana spacciata per campione e il talento irretito dalla timidezza è sottile e il Calcio ne può raccontare mille di resurrezioni che poi lasciano a bocca aperta. Forza dunque Ilicic. Firenze, come ben sanno due tipi delle tue parti, in questi anni ha scoperto il dono sano della pazienza. Sarebbe un peccato averlo già smarrito come un ombrello al bar o le chiavi della casa al mare. Quella è roba da casalinghe distratte o da interisti indonesiani, mica da inguaribili romantici del calcio come lo sono (quasi sempre) i tifosi viola.
Stefano Cecchi - La Nazione
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