Il ritorno allo Stadium l’aveva sognato in modo diverso. Erano quindici anni - scrive Leonardo Bardazzi sul Corriere Fiorentino - che Paulo Sousa non sfidava la Juventus a Torino. Allora però giocava ancora (con il Panathinaikos segnò pure) e le emozioni furono completamente diverse. Il pubblico infatti lo applaudì (ieri invece lo ha ignorato dall’inizio alla fine) e lui visse la serata come una sorta di rimpatriata tra vecchi amici.
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Il nervosismo di Sousa nella gara più importante
Gli screzi con l'arbitro Orsato, i cambi arrivati in ritardo
Senza assilli e senza pressioni. Stavolta invece si giocava un pezzo di sogno e se volete pure un pezzo del libro dei ricordi viola, perché chiunque batta la Vecchia Signora entra di diritto nella storia del tifo fiorentino. Per farlo invece Paulo dovrà aspettare ancora, anche perché da potenziale eroe, l’allenatore viola è finito sul banco degli imputati. La sua squadra infatti ha giocato per oltre un’ora alla pari dei campioni d’Italia grazie alla proverbiale organizzazione, il coraggio e la voglia di osare che il portoghese gli ha inculcato in questi mesi. Nella ripresa però i viola non hanno mai tirato in porta, palesemente fermati dalla fatica e da un crollo fisico che in panchina doveva essere avvertito prima.
Quel triplo cambio finale (cosa rarissima nel calcio moderno) poi sembra essere quasi un’ammissione di colpa, al di là del ben conosciuto problema della rosa corta e un gruppo di seconde linee non all’altezza di partite del genere. Il portoghese tra l’altro ieri ha avuto una insolita diatriba con l’arbitro Orsato, dopo che il direttore di gara non aveva fischiato in serie un fallo su Bernardeschi, una possibile ammonizione per Marchisio e soprattutto un fallo (spallata) di Bonucci su Kalinic lanciato a rete, che per Sousa doveva valere un fallo e magari pure una sanzione per il giocatore della Juve. «Alla prossima la mando fuori», gli ha detto a muso duro Orsato, mentre Sousa, braccia dietro la schiena e volto tirato, scuoteva la testa in segno di dissenso. Lo stadio in quel momento (ma davvero solo in quell’attimo) lo ha fischiato sonoramente, ma il tutto è durato lo spazio di una protesta, prima che la tensione di una serata scudetto risucchiasse l’attenzione di tutti. Per il resto della partita, Sousa ha sbracciato e comandato i suoi come sempre. A Ilicic chiedeva spesso di giocare più vicino a Kalinic, ai centrocampisti di accorciare i portatori di palla e a Berna di avere coraggio nel puntare l’uomo. Quel ritardo nel cambiare qualcosa mentre la Juve prendeva campo però lo ha pagato caro
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