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Il financial fair play diventa una farsa

Fair play finanziario all’acqua di rose, ma, soprattutto, non uguale per tutti i soggetti coinvolti, perché le decisioni approvate a Praga, dal comitato esecutivo dell’Uefa, rischiano di creare figli e …

Redazione VN

Fair play finanziario all’acqua di rose, ma, soprattutto, non uguale per tutti i soggetti coinvolti, perché le decisioni approvate a Praga, dal comitato esecutivo dell’Uefa, rischiano di creare figli e figliastri, proprio nel primo anno di reale applicazione di questo “ambiente di regole”, così come ama definirlo Michel Platini (numero uno dell’Uefa). Nato per rendere più sostenibile il calcio europeo, in quattro anni ha ridotto il “rosso” dei campionati dei paesi Ue da 1,7 miliardi a 484 milioni di euro, ma il monte salari dei calciatori continua a crescere vertiginosamente.

Una mano ai football club del Vecchio continente arriva adesso proprio dall’Uefa. Le società che non sono state sanzionate, negli ultimi tre anni, dal sistema del Financial fair play (Inter e Roma rischiano di rimanere escluse) potranno usufruire di una esposizione debitoria più ampia di quella consentita fino a oggi (il tetto era nell’ordine dei 30 milioni di euro). Il tutto avverrà all’interno di un piano quadriennale costruito su una previsione di crescita dei ricavi da parte delle società.

La più importante novità fissata dall’Uefa è il “voluntary agreement” (Proposta di accordo), ovvero l’opportunità per i club, non ancora qualificati alle competizioni europee (Champions ed Europa league), di poter aggirare le sanzioni stabilite, attraverso un progetto di sviluppo da proporre all’organo di governo del calcio europeo entro il 31 dicembre di ogni anno.

Queste realtà di fatto si dichiarano volontariamente pronte per un accordo preventivo. Gli organi di vigilanza finanziaria decidono caso per caso, entro la primavera successiva, e le “voci” (soprattutto l’acquisto di calciatori) che generano perdite in bilancio possono essere valutate con occhio benevolo.

Può essere concesso infatti un periodo di prova fino a un quadriennio. Le restrizioni non vengono attivate, pertanto, già dal primo anno di fair play finanziario, come è successo, per esempio, alle italiane. Quindi, i nuovi club, soprattutto se supportati da magnati e tycoon dai nomi esotici, saranno valutati in modo diverso da come sta avvenendo in questa stagione al resto del plotone.

Un’ulteriore tegola per il calcio italiano, che rischia di allargare la forbice sportivo-economica con i top club (Real Madrid, Barcellona, Bayern Monaco, solo per citarne alcuni) e di regalare un quadriennio di buone intenzioni su generiche previsioni da business plan ai nuovi clienti delle competizioni a marchio Uefa.

L’unico club italiano di alta fascia che potrà beneficiare del nuovo sistema di regole inserito nel fair play finanziario è l’Ac Milan, avendo ceduto, nell’ultimo mese, il 48 per cento del club (per una cifra vicina ai 450 milioni) a una cordata rappresentata dall’uomo d’affari Bee Taechaubol.

A conferma del nuovo corso lanciato dall’Uefa, c’è l’introduzione del cosiddetto “Pacchetto di benvenuto”. E’ un trampolino di lancio per tutte quelle realtà calcistiche capaci di intercettare nuovi investitori in grado di spendere nel mondo del pallone nei prossimi anni. La proposta delle società è di prevedere in caso di presenza di nuovi, ma soprattutto, ricchi soci, una perdita massima di 50 milioni di euro nella prima stagione. Diminuirebbe fino a 40 milioni nel secondo, a 30 milioni nel terzo e a 20 milioni nel quarto. I club, forti dell’ingresso di capitali freschi, devono, però garantire il tetto del 50 per cento delle perdite previste nel business plan. A perderci in questo nuovo “ambiente di regole” sono sicuramente i club italiani sanzionati e questo potrà pesare, nei prossimi anni, nei progetti di sviluppo o di rilancio di marchi calcistici come As Roma e Inter.

Marcel Vulpis - Corriere dello Sport