FU UN’AZIONE splendida, per eleganza e rapidità. Non una novità, in quegli anni la Fiorentina frizzava come spuma di champagne, non a caso la chiamavano “yé-yé”: appoggio dalla difesa al centrocampo, pochi passi di Picchio De Sisti e lancio millimetrico in verticale sul petto di Amarildo, spalle alla porta. Un’occhiata altrettanto rapida, e la scelta: a destra scendeva Rizzo, a sinistra come un fulmine entrò in area Mario Maraschi da Lodi, trent’anni da compiere, piccolo e ticcio, volpe d’area di rigore. Amarildo lo “sentì”, passaggio fulmineo di piatto sinistro a spiazzare i centrali “nemici”. Botta da una dozzina di metri, Anzolin battuto, rete gonfiata, due a uno. Risultato che non sarebbe cambiato.
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Fiorentina-Juventus ai tempi del tricolore
FU UN’AZIONE splendida, per eleganza e rapidità. Non una novità, in quegli anni la Fiorentina frizzava come spuma di champagne, non a caso la chiamavano “yé-yé”: appoggio dalla difesa al …
Il gol della vittoria visto dalle gradinate di Curva Ferrovia: un’immagine che, quarantatré anni abbondanti dopo, è ancora viva nella memoria, come il fremito, l’urlo, gli abbracci. Una vittoria storica, la Viola avrebbe mantenuto la testa della classifica a braccetto con il Cagliari, nella marcia verso lo scudetto. Già, perché era proprio quell’anno lì, il leggendario ‘68-69. Era il 19 gennaio, domenica di freddo limpido baciato da un bel sole. Era il mio primo Fiorentina-Juventus, avevo quattordici anni, la Viola l’avevo vista negli anni passati poche volte al Comunale, sentita alla radio praticamente sempre, qualche volta anche passata in tv, allora davano solo il secondo tempo di una partita, sul Secondo Canale Rai, in differita alle sette di sera.
QUELLA DOMENICA non si poteva mancare, allo Stadio Comunale. Si andò con un cugino della mamma, mio fratello aveva dieci anni, «troppo piccini per andare da soli, è pericoloso», era stata la sentenza in famiglia. Ma per fortuna il rimedio s’era trovato. Partenza prestissimo, per chi abitava in campagna, a mezzogiorno o giù di lì, allora si giocava — tutte le partite in contemporanea — alle due e mezza, e le gradinate si riempivano con abbondante anticipo. E figuriamoci con la Juve. Non ancora, forse, nell’immaginario del tifoso, tanto “nemica” come oggi. Simpatica, comunque, mai. Cappello, guanti, immancabile radiolina, c’era da ascoltare Tutto il calcio minuto per minuto, i risultati degli altri, soprattutto Cagliari e Milan: si veniva dalla stentata vittoria di Pisa, ma la Viola aveva riagguantato la vetta in tandem con i sardi, e il Diavolo un punto dietro, entrambe fermate sul pari la domenica prima. Con il Cagliari avevo un conto personale, m’aveva appena portato via Ricky Albertosi, l’idolo personale, avevo la maglia da portiere come la sua, pretendevo perfino che il barbiere mi ritagliasse con le forbici lo stesso ciuffettino sulla fronte.
IL TIFO organizzato c’era già, ma niente scenografie particolari, e i canti erano monotoni, pochi, sempre i soliti. Però con quanto calore. Si leggeva Alè Fiorentina, copertina viola e interni sbiaditi in bianco e nero, mensile del Centro coordinamento Viola club, 150 lire. Narciso Parigi cantava già l’inno, e sul lato B del 45 giri c’era un’altra canzonetta simpatica, Alè Alé Fiorentina. Quella domenica di gennaio allo stadio l’aria era eletterica, davvero da occasione storica. E la partita s’era messa bene per la Fiorentina, ancora uan volta in campo senza Chiarugi: Picchio De Sisti aveva insaccato con uan gran botta al “sette” dopo 20’, gran gioia ma gol visto solo da lontano. E sotto la Fiesole s’era consumato lo scempio: la Viola che sprecava gol su gol, e Zigoni che aveva trovato il pareggio. Ma gli durò poco, un quarto d’ora. Fino a quella doppia pennellata geniale, il lancio e il tocco felino. E la botta di Maraschi.
La Nazione
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