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Fiorentina contro Juve: dieci giorni per cuori forti

La speranza è che il 21 marzo Gervasoni, gli arbitri e le stangate del giudice sportivo siano solo un ricordo lontano, sepolto dalle emozioni di un «triplete» senza precedenti. Con …

Redazione VN

La speranza è che il 21 marzo Gervasoni, gli arbitri e le stangate del giudice sportivo siano solo un ricordo lontano, sepolto dalle emozioni di un «triplete» senza precedenti. Con la prevedibile qualificazione agli ottavi di Europa League di Fiorentina e Juventus alle 23 di ieri è scattata l'attesa per i dieci giorni di passione dei tifosi viola. Difficile dire se saranno più o meno intensi rispetto a quelli del prossimo maggio, prima della finale con il Napoli. Certo è che tre partite in così poco tempo (la prima il 9 marzo in campionato, le altre due il 13 e il 20 in Europa League) contro «lei», come la chiamava il grande Mario Ciuffi, non si erano mai viste.

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Il derby europeo fratricida fa riemergere ferite mai rimarginate. Maggio 1990, stanno per arrivare le notti magiche dei Mondiali in Italia e le squadre del Belpaese dominano ovunque. Il Milan si appresta a vincere di nuovo la Coppa dei Campioni, la Sampdoria si aggiudicherà per la prima volta la Coppa delle Coppe e la finale Uefa è tutta italiana: Fiorentina-Juve, tanto per non farsi mancare niente. Siamo agli ultimi giorni folli e velenosi dell'era Pontello, in panchina c'è Graziani, Baggio è già stato venduto proprio ai bianconeri, ma in città ci si tappa le orecchie pur di non ascoltare la verità. La partita di andata a Torino del 2 maggio è uno show viola, solo che proprio Baggino si mangia due gol davanti a Tacconi, poi nella ripresa va in scena il delitto perfetto. Casiraghi segna dopo una spinta plateale a Pin e l'ineffabile arbitro spagnolo Aladren convalida con annesse prese di bavero dello stesso Casiraghi. Poi Landucci fa una papera colossale su un tiretto di De Agostini e così finisce 3 a 1 per i bianconeri. Dopo la gara succede di tutto: minacce viola e squalifiche a raffica, ma soprattutto arriva l'incredibile decisione di giocare il ritorno ad Avellino, noto feudo bianconero, perché un imbecille aveva invaso il campo a Perugia nella semifinale contro il Werder Brema. Non Milano o Napoli, Avellino. La Fiorentina gioca quasi come se fosse in trasferta, pareggia zero a zero e dice addio all'Uefa.

Nella storia dell'eterna sfida tra le due squadre non c'è stata una gara più importante, nel senso della sfida secca, mentre invece qualche volta vincere al novantesimo è coinciso con la conquista dello scudetto. In questo caso il pensiero va proprio all'ultimo tricolore viola del 1969, con Torino invasa a maggio da diecimila fiorentini e con una Juve ormai scarica e travolta dai gol di Maraschi e Chiarugi. Dodici anni dopo, sempre a Torino, va in scena la stessa partita, ma a parti invertite e una rete di Cabrini consegna alla formazione di Trapattoni l'ennesimo scudetto, avvelenato in precedenza da una rete annullata alla Roma. Un'altra volta invece ci fu la beffa e lo sfondo non poteva che essere Firenze, nell'allora Comunale, ancora non Franchi. Anche in quella occasione la Juve si preparava a festeggiare il tricolore affrontando una piccola Fiorentina per niente tonificata dalla presenza in panchina di Rocco. E invece, sotto un'inusuale pioggia torrenziale primaverile, Antognoni, Caso e Casarsa schiantarono per quattro a uno Zoff e compagni e lo champagne di Boniperti, riposto nel frigo nello stadio, fu riportato mestamente in Piemonte.

Negli anni Sessanta la vera nemica era l'Inter di Herrera, per l'ascesa bianconera bisogna attendere il decennio della triade Bettega-Furino-Causio. Poi arrivò il campionato 81/82 con lo scudetto rubato e da quel momento niente è più stato come prima. Fino alla fantastica rimonta del 20 ottobre scorso, con un le braccia al cielo di Pepito. Ma questa è un'altra storia...

David Guetta - Corriere Fiorentino