Il bello del calcio italiano è che la realtà supera ogni giorno la fantasia. Dalle ceneri brasiliane, l’eliminazione in tre partite, le dimissioni congiunte di Abete e Prandelli, era emersa la necessità di arrivare all’elezione di un presidente federale autorevole, in grado di mettere in campo una squadra adatta ad operare una serie di riforme strutturali non più differibili. La conclusione è che il dibattito pre-elettorale (assemblea l’11 agosto) è già diventato rissa. Martedì Andrea Agnelli aveva definito la candidatura di Carlo Tavecchio «non autorevole»; aveva rilanciato i nomi di Albertini, Vialli, Costacurta e Cannavaro; aveva giudicato intempestive le dimissioni di Abete. Detto che se non si fosse dimesso, dal 24 giugno sera Abete sarebbe stato il bersaglio di un tiro a segno senza fine («non ha avuto nemmeno il coraggio di dimettersi»), il presidente della Lega di A, Maurizio Beretta, avrebbe potuto presentarsi al Consiglio federale del 30 giugno e chiedere con fermezza un congelamento o un ripensamento, visto che le società di A sono il motore del calcio italiano.
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Figc, la corsa elettorale è diventata una rissa
Il bello del calcio italiano è che la realtà supera ogni giorno la fantasia. Dalle ceneri brasiliane, l’eliminazione in tre partite, le dimissioni congiunte di Abete e Prandelli, era emersa …
Invece il presidente Beretta non si è nemmeno presentato al Consiglio della Figc e questo dice tutto sulla serietà della Lega di A, che, per tradizione, ha sempre indicato il candidato alla presidenza e che ora latita, anche perché la spaccatura fra i club non è mai stata così profonda (con la Juve all’opposizione). Agnelli ha anche chiesto che Abete lasci Uefa e Giunta Coni. Richiesta legittima, purché si sappia che in questo caso l’Italia perderebbe il posto nell’Esecutivo europeo (Abete è uno dei vice di Platini) e il calcio il posto in Giunta, dove già è trattato abbastanza male, perché è un momento in cui il veto soffia in senso contrario.
Le osservazioni di Agnelli hanno provocato reazioni furenti da parte del presidente della Lega Pro, Mario Macalli. Tralasciando le considerazione extra-calcistiche a base di insulti, Macalli (è il massimo sostenitore di Tavecchio), abituato a dire quello che pensa, non ha parlato con stile oxfordiano: «Chi ha un programma, si presenti e venga a prendere i voti. Gli scienziati atomici che sento parlare non ci fanno paura; sento nomi sparati a vanvera, così tanto per fare. Mi auguro che un giorno queste persone si siedano a parlare con noi, che abbiamo le badanti e vediamo. Quelli che hanno bloccato il calcio italiano fanno giocare il 60% di stranieri nelle loro squadre e il 90% sono scarsi. Parlano di squadre B, ma quanti giovani hanno tirato fuori dai loro vivai? Da me non farebbero nemmeno i portinai. Avevamo un c.t. di cui tutti parlavano bene o ora lo trattano come un mascalzone; io sono stato e sto con Abete; mi dispiace che sia andato via e che ora lo accusino di nefandezze. Il risultato sportivo dipende da chi va in campo, non da chi organizza. Ero in Consiglio quando nel 2010 e per un anno e mezzo i rappresentanti della A non sono venuti perché volevano un extracomunitario in più».
Ha risposto anche Tavecchio: «Se Agnelli si candidasse, io lo appoggerei. E poi vediamo come vano le cose. Lui bravo? Non so, bisogna vedere come si mettono le cose, La Federcalcio non è cosa da ridere. Io unico candidato? Escludo, perché arriveranno anche altri, grandi imprenditori. Se l’inadeguatezza dipende dalla statura, io sono alto 1,61». Tavecchio è deciso a incontrare tutte le componenti prima di sciogliere la riserva (entro il 27 luglio); c’è sempre da capire che cosa pensi Albertini, se ha intenzione di candidarsi e dove andare a prendere i voti; Tommasi, che guida il sindacato calciatori, non ha mai fatto mistero di essere pronto a votare il candidato indicato dalla Lega di Milano, purché sia un candidato chiaro, con un programma di riforme vere; ieri Abodi ha chiarito che il problema non sono l’età o l’origine del candidato, ma le idee. Che in realtà sono poche e molto confuse. E con una maggioranza risicata, anche il nuovo presidente federale non ha nessuna speranza di andare avanti.
Fabio Monti - Corriere della Sera
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