Il normal one ha messo insieme un look metà da asceta e l'altra metà da hipster. Fa quasi impressione ascoltare la voce di un allenatore della Fiorentina che esprime concetti più "normali" che emozionali, frasi decriptate dopo due anni di pseudo poesie zen. D’altra parte un po' asceta è bene saperlo essere, in questo ritiro che al momento è una meditazione sul nulla cosmico. Lui però se l’aspettava, perché La C2, Cognigni e Corvino, glielo aveva detto che c'era un gruppo da smantellare e da riscostruire. Il famoso ciclo arrivato alla sua fine, che poi è un modo più raffinato per dire: vendiamo i pezzi migliori e incassiamo per poi investire sui giovani, che così diamo una immagine effervescente alla Fiorentina e risparmiamo sugli ingaggi.
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Ferrara scrive: “Pioli, The Normal One sogna la rivincita”
Sfide e promesse: i messaggi in conferenza stampa del tecnico della Fiorentina
Sì, il normal one sapeva tutto, ma l'idea di questa nuova sfida gli piaceva da morire. Ha anche detto no ai cinesi, quindi a una valanga di soldi, per restare a lavorare nel triste campionato italiano, che comunque a occhio è meno triste di quello cinese. Quindi ben venga questa sfida incredibile, con Diego che all'improvviso dice «allora compratela voi», Andrea che fa un passo indietro, i tifosi in bilico tra la rabbia, la noia e l'apatia. «Sarà una squadra competitiva, o almeno me l’hanno promessa così», dice Stefano Pioli, voce ferma e più o meno convinta. Perché resta da vedere competitiva per cosa.
Ma d'altra parte le rivincite non sono mai facili. Quando nella vita ti fanno capire che non sei abbastanza cool per un top team, nello stomaco di gira di tutto: orgoglio, rabbia, tristezza. Poi frulli tutto e nasce la tua ripartenza. Un po' come la Fiorentina, erede di un sogno smarrito e smarrita anche lei, sulla strada tra il passato e ciò che sarà. Non è un caso se l'allenatore mandato via dall'Inter secondo le regole del marketing, più che a quelle del pallone (ma i due codici ormai coincidono), si ritrovi ad allenare un gruppo dove è davvero difficile riconoscere i giocatori della prima squadra, che saranno cinque o sei, in mezzo a frotte di giovani chiamati per rendere possibili le partitelle. (...)
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