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Ferrara scrive: “Pioli due, la scommessa. Ambizioni, ma sottovoce”

Il tecnico di Parma ancora sulla panchina viola per smentire i dati che lo vedono rallentare al secondo anno

Redazione VN

Il normal one si gioca tutto. Ed è felice di poterlo fare: qui, in una città che ha conosciuto da ragazzo, nello stesso stadio, anche se a quai tempi il Franchi era un’altra storia. Eh già: Pioli due, la scommessa. Sì, perché al di là dei luoghi comuni, la verità è una questione statistica: l’allenatore della Fiorentina parte bene ma poi si inceppa. Primo anno ok, secondo molto meno. Ma se esiste una regola per chi fa sport questa si chiama forzare il recinto delle statistiche, azzerare i luoghi comuni, rivoluzionare la propria immagine e scuotere i dati di Wikipedia. Quelli meno felici, naturalmente. La storia di Pioli parla di dodici panchine in quindici anni di carriera. La stagione più entusiasmante alla Lazio, con la Champions e due finali (perse). A Bologna un nono e un tredicesimo posto. Ma lui, dopo lo psicodramma Inter, è venuto qui perché c’erano tutte le condizioni per ritrovare le motivazioni giuste. Perché quelle servono sempre, a chi vive di calcio.

E così ecco il secondo anno di Fiorentina e l’arte diplomatica di un allenatore che preferisce lavorare piuttosto che nutrirsi del proprio ego. Certo, mica è facile vivere nel calcio: i datori di lavoro, le invidie, i procuratori padroni, i dirigenti nervosi. Ma Pioli ha un punto fermo: se deve alzare un po’ la voce lo fa in privato. E anche per questo Diego lo ama, Mario lo stima, Carlos lo rispetta. Un anno fa mica si vergognò il buon Pioli a chiamare il numero uno per chiedergli due terzini. Low cost, certo. Ma un po’ meglio di quelli che gli avevano preso. Gaspar e Maxi Olivera, giusto per non dimenticare. Serve sangue freddo, sempre. E un equilibrio interiore, anche. Sfogarsi di corsa o in bici, mettere il cuore nel pallone a debita distanza dalle sue regole torbide, dai suoi vizi, dalla sua perfida avidità. Beh, Pioli ha trovato il modo, forse perché conosce l’empatia. E anche la gratitudine: grazie proprietà, grazie dirigenti, grazie a tutti. Tutto fantastico. Ma finché non si gioca sono solo parole. (...)

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