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Ds Siviglia: “Scouting e condivisione, ecco il nostro segreto vincente”

Sulla Gazzetta dello Sport, nella sezione “Extra Time”, troviamo una lunga intervista al ds del Siviglia Ramon Rodriguez Verdejo (detto Monchi) che è il vero deus ex machina del boom del club …

Redazione VN

Sulla Gazzetta dello Sport, nella sezione "Extra Time", troviamo una lunga intervista al ds del Siviglia Ramon Rodriguez Verdejo (detto Monchi) che è il vero deus ex machina del boom del club andaluso in questi anni «7 titoli, 10 finali e 10 semifinali in 12 anni, e 10 stagioni in Europa». Non si parla in realtà del match contro la Fiorentina ma si racconta il modello del club. Ecco alcuni passaggi:

«Con me lavorano 15 persone, ognuno cura delle competizioni in modo esauriente. Le informazioni raccolte sono condivise: ogni mese ogni tecnico deve fare il Top 11 dei tornei che segue. Lo si fa fino a dicembre e iniziamo a immagazzinare tantissimi nomi ampliando la base dati. Da lì iniziamo ad applicare dei filtri per cercare di arrivare ad aprile con 120 nomi, 11-12 per posizione. Lì parliamo col tecnico per vedere esigenze, posizioni e profili dei giocatori da prendere. Io sono a stretto contatto con la prima squadra, so di cosa c’è bisogno ma non trascuriamo posizioni che in apparenza non sono prioritarie perché non si sa mai: magari arriva un club e paga la clausola di uno che non pensavamo di vendere, o fa un’offerta che non si può rifiutare. Dobbiamo essere preparati. È successo con Fazio e Kondogbia, Tottenham e Monaco hanno pagato la clausola e noi dobbiamo essere pronti a reagire sul mercato».

E l’allenatore?

«Sa cosa lo aspetta. Qui si lavora tutti insieme: non prenderemo mai un giocatore perché ce l’ha detto l’allenatore, ma non prenderemo mai un giocatore senza l’autorizzazione del tecnico. Se compra il presidente, male. Se compro io da solo, male. Se compra l’allenatore, male. La chiave è la distribuzione del lavoro. Il tecnico indica un profilo di giocatore, non un nome. Io gli faccio una serie di proposte: se lui conosce qualcuno e lo preferisce cerchiamo quel calciatore perché è più facile, come è successo con Banega, che Emery conosceva bene. Diciamo che non è semplice che l’allenatore conosca i nostri nomi perché spesso sono sconosciuti: Kolo, Tremoulinas, Krychowiak ma anche Bacca o Gameiro sono buoni esempi. Juande Ramos non conosceva Kanoute o Luis Fabiano, per non parlare di Dani Alves o Adriano. Ci siamo guadagnati la fiducia del tecnico. Il tecnico sa che io sono un mezzo di lavoro per lui. E se l’allenatore ha successo, io ho successo perché vuole dire che la squadra funziona».

Sulle operazioni di mercato più importanti di questi anni racconta:

«L’operazione ideale è quella di Dani Alves perché rispetta tutti i parametri: giocatore giovane, sconosciuto ed economico, viene, si adatta, vince e lo vendi per tantissimo. Però per me c’è un pre e un post qui a Siviglia che coincide con l’arrivo di Poulsen: lottavamo col Milan, quello del 2006, forte, e fummo capaci di portare il ragazzo a Siviglia. Ci fece capire che stavamo lavorando bene. Io dico che non ci sono acquisti ma risultati negativi: il rendimento di un giocatore dipende da tante cose. Arouna Koné qui non ha funzionato, al Levante ha fatto 17 gol. Kanouté al Tottenham faceva 7 gol a stagione, qui ha battuto tutti i record. Luis Fabiano arrivò dal Porto dove aveva fatto 3 gol, qui ne ha fatti mille. Maresca era stato in cento squadre, qui è diventato un idolo. Al contrario: quando tornai dall’Argentina con la firma di Lautaro Acosta ero entusiasta ma non è andato. Ma non è colpa sua».

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