Come salire su un razzo e bucare il confine della nostra galassia. London calling, tutta un’altra storia. Che emozione, finalmente, spostare il cuore a due ore di aereo per scoprirsi lontani anni luce dagli stadi semivuoti di casa nostra e dal calcio ombroso e arrogante di Tavecchio e Lotito, i padroni di un presente sfocato e lento sorpassato da mezzo mondo, un presente sul quale gli occhi del pianeta non guardano quasi più. Che botta di vita, allora. Lo stadio pieno, i cori, la velocità, lo scontro a viso aperto. L’idea che il pallone sia ancora uno sport fatto di carattere e spettacolo, tanto che alla fine pensi che perfino l’odore dei wurstel e delle chips che friggono faccia parte del sogno. Che adrenalina nelle vene dei giocatori. E dei tifosi, che hanno lottato alla morte per un biglietto buono per una sfida da vivere senza paura, ma con molto rispetto per chi il calcio lo sa vivere meglio di noi. Che poi nessuno è perfetto. Ma almeno il made in England ti assale il cuore. La gente, i colori, l’idea che quasi tutto ormai passi fuori dalla nostra piccola galassia. Come diceva Pizarro: «Non vedo l’ora. Giocare in Inghilterra è sempre una grande emozione». Sì. E’ il gusto dell’Europa che cammina due passi avanti. Quella che tu guardi con un po’ di invidia prima di partire alla sua conquista. Perché se la Premier è un’altra cosa, conquistarne un pezzetto resta una missione sempre difficile ma mai impossibile. E’ anche la nostra storia a raccontarlo.
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Così vicina, così lontana. Londra paradiso del calcio
Per noi dell’Italietta di Lotito giocare qui diventa emozione. L’incipit dell’articolo di Benedetto Ferrara
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