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Corvino: “Vidal e quella maglia con su scritto ‘cog***ne’…”

Corvino si racconta alla Gazzetta: "Della Valle mi richiamò dopo l'addio. Ho vinto 4 scudetti a Firenze. Il quinto..."

Redazione VN

Pantaleo Corvino ha una bacheca ricca di trofei, in ordine di valore affettivo: sei nipoti (Martina, Cristiano, Annaluna, Aurora, Lorenzo e tra pochissimo Nicole), dodici titoli nazionali (a livello giovanile), due qualificazioni in Champions con la Fiorentina (potevano essere il doppio), una Scarpa d’oro (Luca Toni), una promozione in A (Bologna).

La salvezza del Bologna non varrà una coppa ma è il prossimo premio da inseguire. Riuscirete?

«La proprietà lo merita per i sacrifici che ha fatto e che fa. Io chissà che darei, sarebbe il primo scalino su cui salire, per poi farlo ancora e arrivare in alto: Saputo, sempre vicino, è una garanzia, per gli sforzi economici e le idee, anche in fatto di strutture ed esperienze, che ha la possibilità di poter importare dall’America e dal Montreal Impact. C’è un gruppo di lavoro unito, con Fenucci, Di Vaio e altri, e una città che meriterebbe subito altri traguardi».

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Più stupito da Jovetic, Ljajic e Felipe Melo all’Inter, Mihajlovic, Cerci e Montolivo al Milan o da Neto alla Juve? Sono tutti partiti, o passati, da Firenze.

«Verità? A stupirmi è stato Lollo. O Matos. O Babacar e Bernardeschi, quattro giovani del settore giovanile viola titolari in Carpi-Fiorentina».

Avrebbe mai comprato Mario Gomez a certe condizioni d’acquisto e d’ingaggio?

«Certe cifre le spendi per un giocatore dal pedigree importante, come lo era il suo. In campo poi non si è espresso e l’errore ci sta».

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A Firenze sette anni senza rimpianti?

«Macché, più di uno. Non siamo stati capaci di gestire un parco attaccanti con Gilardino, Mutu, Pazzini, Osvaldo e Jovetic. Ne abbiamo ceduti due, Osvaldo e Pazzini, per prendere un paio “più disponibili” come Keirrison e Bonazzoli. Non era da fare, anche se dalle cessioni abbiamo guadagnato 17 milioni, facendo entrare due giocatori in prestito. E non dovevo privarmi di Dainelli, un leader a cui ero e sono affezionato».

Contrario: cosa non fatta ma da fare.

«Vendere Mutu alla Roma per 19 milioni e 750 mila euro. C’erano già le mail scambiate. Era estate, eravamo nel Mugello, quando la partenza di Adrian venne bloccata me ne andai dal ritiro e tornai a casa mia, a Vernole. Mi chiamò Diego Della Valle per calmarmi e confortarmi, aveva comunque apprezzato il mio lavoro».

Non confessò che Vidal venne fino a casa sua e poi l’affare saltò all’ultimo?

«Vero. Quando è andato al Bayern ha rincarato la dose: da Pulgar, con cui condivide il manager, mi ha fatto avere una maglia della nuova squadra con dedica speciale: “A un coglione che si è fatto convincere a non prendermi”».

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Fu criticato perché disse: «Per la Fiorentina arrivare quarta è come vincere scudetto e Champions League». Lo ridirebbe?

«La sincerità fa parte di me. Arrivare per due anni prima del Milan o della Roma, che fatturano tre volte di più, voleva dire che avevi vinto il tuo scudetto e la tua Champions. Al contrario non voleva dire non esser vincenti, sono partito dalla terza categoria e arrivato terzo in Serie A, la voglia non mi manca. Lo ridirei a squarciagola».

Griglia campionato: scudetto, Europa e salvezza.

«La Juve resta avanti alla Roma. Poi Napoli, Lazio, Fiorentina e le milanesi, che hanno il dovere di provarci. Per la salvezza mi auguro solo ce la faccia il Bologna, ce la vediamo contro squadre strutturate da più anni. Città e proprietà meritano questo e di più: la tifoseria mi ha dimostrato affetto per una promozione a cui ho lavorato entrando in corsa. Spero di meritarmi a pieno la loro fiducia per quanto sarà fatto».

Più forte la sua Fiorentina o quella attuale?

«Noi abbiamo raccontato una storia importante, questa è ancora nel pieno del suo ciclo. Alla fine ognuno racconterà la sua. A chi è venuto dopo non ho invidiato niente, forse solo la situazione di partenza. Io arrivai in una condizione particolare, senza 100 milioni di possibili cessioni».

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Alessandra Gozzini - La Gazzetta dello Sport