«Chi era Paulo Sousa? Un calciatore di vent’anni con la mentalità di un allenatore di cinquanta». Una risposta tanto singolare quanto condivisa, almeno a sentire chi conosce bene quello che molto probabilmente guiderà la Fiorentina del prossimo anno. E a giudicare dai loro giudizi, Paulo, si era già portato avanti con il lavoro anche quando davanti alla difesa «tirava pedate e lanciava i compagni verso la porta». Già proiettato sul futuro, insomma, con un’incredibile passione verso il proprio lavoro. Tanto che Gigi Simoni ai tempi dell’Inter lo considerava già quasi come un assistente in campo: «Impossibile scordarsi di un giocatore come Sousa. Il massimo esempio della professionalità e serietà. Per me era come uno dello staff tecnico, anche se poi lo facevo giocare poco». In effetti, nel centrocampo dell’Inter di Ronaldo, Zanetti, Djorkaeff e Simeone, i piedi buon non mancavano e per questo Sousa finiva spesso in panchina. La reazione? «Mai una parola fuori posto, nemmeno nella camera di Appiano Gentile durante il ritiro». E se a dirlo è proprio il compagno di stanza del portoghese, Francesco Moriero, allora vuol dire davvero che Sousa accettava tutte le scelte e rifletteva. Ore e ore. «Il dialogo c’era ma lui aveva bisogno dei suoi silenzi per pensare alle decisioni da prendere e a cosa dire nello spogliatoio. Anche oggi è un tipo molto razionale, mi domandavo come facesse a rimanere così pacato dopo le esclusioni — racconta Moriero — ma poi quando apriva bocca era autorevole. Niente mezze frasi o frecciatine. Quel che pensava lo diceva durante colloqui privati con il mister».
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Diritto al punto, quindi. Senza giri di parole. Virtù o difetto? Chissà. Sicuramente nel mondo del calcio, sarebbe meglio trovare l’equilibrio giusto tra sincerità e diplomazia. Per il bene di tutti. Ed è proprio questo il consiglio che Fabio Galante, altro compagno di quell’Inter di fenomeni, gira a Sousa: «Appena arrivato iniziò subito a dimostrare personalità e leadership. Deve essere così anche a Firenze, anche se forse per la situazione in città sarebbe meglio entrare in punta di piedi». Sarà così? Difficile prevederlo, anche perché Sousa pretende il massimo da tutti: «In campo non faceva distinzioni. Trattava i ragazzi della Primavera esattamente come trattava Ronaldo. Se non gli passavi la palla, anche se marcato da due avversari, ti urlava in faccia e poi a fine allenamento tornava sull’episodio. Di una precisione estrema...». In tutto. Anche nell’abbigliamento. Perché il portoghese è anche oggi un «maniaco dell’eleganza» e spesso era l’ultimo ad abbandonare lo spogliatoio dopo gli allenamenti. «Per forza — racconta Colonnese — curava ogni dettaglio. Prima i capelli, che dovevano sempre essere lisci e perfetti, e poi i vestiti. L’unica maglietta che indossava era quella da gioco, altrimenti solo camicia, giacca e cravatta». Saranno contenti i fratelli Della Valle, sempre molto attenti allo stile.
E a proposito di maglie ce n’è una in particolare che potrebbe essere l’ostacolo più grande per l’avventura di Sousa a Firenze. Quella bianconera, indossata dal 1994 al 1996. Ma il rapporto con la Juve è così forte? «I tifosi viola posso star tranquilli, non è che sia rimasto molto affezionato ai bianconeri — dice Colonnese — anzi, quando si giocava contro i “gobbi”, come li chiamate a Firenze, lui ci motivava ancora di più. La sentiva particolarmente». Concetto chiaro. Confermato anche da uno che lo ha conosciuto proprio a Torino, come Rampulla: «È eccessivo definirlo juventino,con noi è stato solo due anni e poi in viola hanno giocato calciatori come Di Livio e Cuccureddu». Difficile sostenere il contrario, anche se dovrà convincere gli scettici. «Lo farà con intelligenza, rispetto e sincerità», assicura Hernan Crespo, compagno al Parma. Anzi, mister Simoni va oltre. «Per qualità può diventare bravo come Simeone. Già in campo facevano a gara a chi chiacchierava più di me. Per questo almeno uno lo tenevo in panchina...». E con quella viola Sousa è pronto a tornare in Italia.
Duccio Zoccolini - Corriere Fiorentino
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