«È anche un problema di testa» confida a denti stretti Paulo Sousa. Deve essere stato difficile ammetterlo, lui che sull’aspetto mentale ha investito fin dal primo giorno e che adesso si trova a dover rialzare uno spogliatoio dove dubbi, nervosismi e insicurezze si sono insinuati come un virus.
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Cor Fio: tanta confusione, poco coraggio. Così la Fiorentina non ci crede più
Sousa ammette: "E' un problema mentale". Ecco perché il suo progetto fa fatica
Chissà, magari il portoghese - scrive Ernesto Poesio sul Corriere Fiorentino - si riferiva al fatto che la sua Fiorentina fa fatica a pensare unita. Con una testa sola. Anzi, a dirla tutta, sembra non pensare proprio. Piuttosto in campo dà l’impressione di eseguire pedissequamente direttive e ordini senza però metterci la giusta convinzione, cercando di schivare il più possibile le responsabilità, sia collettive che individuali.
Problema di testa. Forse nel senso che quelle dei giocatori hanno di colpo iniziato a pensare ognuno per conto suo, tra recriminazioni sopite mentre tutto girava per il verso giusto (è la dura legge dello spogliatoio, d’altronde, e Sousa la conosce bene per averla vissuta dall’altra parte della barricata) e incomprensioni, dentro e fuori dal campo (richieste di rinnovo oppure di cessione non sono di certo mancate) che hanno finito col distrarre un po’ troppo dall’obiettivo comune.
Problema di testa. Magari pensando alle motivazioni che in una squadra dovrebbero sempre essere alimentate (per primo dalla società) e che invece sembrano aver abbandonato anche i giocatori più rappresentativi, ormai propensi a pensare più al modo migliore di concludere la carriera in riva all’Arno (quasi fosse un buen retiro), che a provare ad alzare quello che per quasi tutti (e forse non è un caso) sarebbe il primo trofeo.
Problema di testa. Magari nel senso che una gestione troppo totalizzante ha finito per imbrigliare tatticamente un gruppo a cui, almeno in alcuni suoi elementi, andrebbe invece lasciato lo spazio di osare, di uscire dagli schemi, di imporre la giocata d’istinto su quella studiata a tavolino, magari con l’aiuto di computer, analisi e programmi speciali.
Problema di testa. Forse quella di una squadra che appare ancora indefinita, sia nella formazione titolare che nel modulo. Il risultato è stato fino a oggi una confusione molto poco organizzata in cui chi va in campo può sempre appellarsi a qualche alibi, dall’essere fuori ruolo (ogni partita accade ad almeno due o tre giocatori, quasi una prova muscolare per ribadire al gruppo l’importanza dell’allenatore) a continui sacrifici tattici.
Problema di testa. Magari quella di chi a ogni pallone sbagliato vede il proprio allenatore allargare le braccia e scuotere la testa platealmente. Un atteggiamento che di sicuro soddisfa il tifoso arrabbiato, molto meno uno spogliatoio in cui nell’ultimo anno e mezzo (dal caso Pasqual, a Suarez, fino a Pepito Rossi) non sono mancate tensioni.
Già, gli scossoni. Quelli che il club per il momento assicura non riguarderanno la panchina («Sousa in bilico? Non scherziamo», ha tuonato Corvino), consapevoli però che qualcosa dovrà pure cambiare per provare a ripartire. Magari riaprendo lo spazio al calcio giocato. Pensato, certo, ma più in campo che sulla lavagna.
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