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Ciuffi: il ricordo di Bennucci su La Nazione

Forse ha solo percepito il risultato, perché aveva perso conoscenza da sabato, ma è sicuro che Mario Ciuffi, lassù in Cielo, stia già facendo confronti con un amico ritrovato: «Lo vedì? …

Redazione VN

Forse ha solo percepito il risultato, perché aveva perso conoscenza da sabato, ma è sicuro che Mario Ciuffi, lassù in Cielo, stia già facendo confronti con un amico ritrovato: «Lo vedì? Io almeno me ne sono andato dopo un 4-1 all’Inter. Tu volasti via (il 19 gennaio 1975 n.d.r.) dopo uno 0-0 con la Juve, sia pure a Torino...». Verosimile risposta dell’altro, di nome Mario come lui, ma di cognome Fantechi: «Ma te non ce l’hai fatta a issare sulla Torre d’Arnolfo di Palazzo Vecchio la bandiera viola per festeggiare il terzo scudetto, come feci io celebrando il secondo...».

Se Mario Ciuffi era una specie di Papa, pontefice massimo del tifo, colui che metteva la stola viola al collo dei nuovi giocatori e dei nuovi allenatori, Mario Fantechi veniva considerato una sorta di San Pietro: era stato fra i fondatori del centro di coordinamento dei viola club. Con un denominatore comune indissolubile, la Fiorentina, i due Mario fecero un patto di sangue quando dettero vita al club «Undici viola». Che diventò «Mario Fantechi», quando il Mario meno giovane fu stroncato da un infarto, appunto a Torino. E il nostro Beppe Pegolotti, inviato dell’epoca, scrisse: «Ora dovrei dire come ha giocato Antognoni, ma le mie mani s’intorpidiscono sulla tastiera: è morto Mario Fantechi, un grande appassionato, un grande tifoso viola...». Mario Ciuffi lo pianse come un fratello. E volle i funerali sulla pista dello stadio. Poi raccolse il testimone per portarlo in tutti gli stadi, d’Italia e d’Europa, ovunque giocasse la Viola. Pagando generosamente trasferte e biglietti a chi capitava, fino a quando ebbe i mezzi per farlo.

Negli anni, la sua specialità erano diventate le «frustate» ai giornalisti in tv. Carlo Conti lo portò a tirar nerbate perfino a «Domenica in...». Ma quelle sferzate erano un segno d’affetto, seguite dalla frase fatidica: «Lo sai vero che t’ho lanciato io? Avevi i calzoni corti quando cominciasti...». Ecco perché, come successe al vecchio Pegolotti quando morì Fantechi, anche l’autore di queste righe, salutando il Ciuffi, si ritrova con le mani intorpidite sulla tastiera. Ciao Mario, ci hai rimesso il cuore, ma hai finito per straziare il nostro.

Sandro Bennucci - La Nazione