I DUE gridano sempre più forte per far credere ai tedeschi che da qualche parte sarebbero sbucati altri partigiani. Bruno si sfinisce i polmoni, dà ordini, come quando correva sul campo. Ma questa volta, come sa bene, intorno a lui non c’è nessun compagno a cui passare il pallone. I fatti vennero raccontati poi da un pastore che assistette alla scena nascosto dietro un castagno, a pochi metri da quella mulattiera dalle parti dell’eremo di Gramogna, sull’Appennino tosco-romagnolo.
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Bruno Neri e quel coraggio di dire “NO”
Storia di un ex viola che si vestì da partigiano
I tedeschi capirono quasi subito che quei partigiani non li avrebbe aiutati nessuno. Lo scontro a fuoco fu un lampo. Bruno Neri e Vittorio Bellenghi detto Nico morirono lì, sotto il sole feroce di quel 10 luglio 1944. I due, quella mattina, erano partiti per andare a perlustrare il percorso che avrebbe dovuto condurre il loro battaglione a recuperare un lancio aereo degli alleati sul monte Levano.
Bruno Neri, nome di battaglia “Berni”, era il vicecomandante della brigata Ravenna. Aveva 34 anni e, pochi mesi prima, aveva giocato la sua ultima partita. Era andato in campo a Bologna, con la maglia del Faenza, la squadra della sua città. Per un po’ aveva provato a tenere insieme le sue due vere grandi passioni: il calcio e la libertà, quella di un’Italia dilaniata che chiamava i suoi uomini a fare delle scelte. E lui la sua l’aveva fatta: dopo l’ultimo calcio al pallone, Bruno Neri scelse la clandestinità. Una scelta clamorosa per un uomo che avrebbe potuto vivere senza problemi la sua vita da privilegiato in attesa che la guerra avesse fine. Una carriera importante, quella di Bruno Neri. E basterebbe una foto per capire chi fosse davvero quel centrocampista e cosa sia davvero un uomo libero. E’ l’immagine della Fiorentina nel giorno dell’inaugurazione dello stadio Giovanni Berta. I giocatori fanno il saluto fascista. Tutti, tranne uno: lui. Piccolo, cupo. E forse solo. Un eroe, il calciatore antifascista, che lunedì sera verrà raccontato al Teatro Studio di Scandicci da un monologo scritto dall’autore Francesco Graziani. Un testo (nato per la radio e riadattato per il palcoscenico) che l’assessore allacultura Sandro Fallani ha voluto a tutti i costi portare in teatro. «Ho due figli maschi, che non a caso si chiamano Bruno e Neri. Perché la storia di questo eroe mi ha sempre colpito. Un uomo coerente, coraggioso. Un uomo raro».
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